Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Capitolo ventiquattresi·mo Ceti professionalie dipendenti.pubblici Non esistono statistiche che illustrino le condizioni economiche dei ceti professionali. Nessuno quindi può dire quanti italiani appartenenti a tali ceti siano disoccupati e magari soffrano la fame. Se dobbiamo credere a quanto affermava, il 18 aprile 1935, Alessandro Pavolini, presidente della confederazione dei professionisti e artisti, il 10 per cento di costoro sono disoccupati. Ma data l'abitudine fascista di attenuare sempre la gravità dei fatti spiacevoli, è probabile che il numero di disoccu– pati superi di gran lunga questa cifra. Da fonte attendibile io venni a sapere che un'inchiesta per accertare il numero di laureati che erano senza lavoro, produsse la cifra di 150.000. Il dato era tanto scoraggiante che non venne mai comunicato alla stampa. Nel 1913, alla vigilia della guerra mondiale, le università italiane pro– dussero 4.271 laureati che avevano seguito l'indirizzo delle p~ofessioni li– bere. A quel tempo era opinione generale che la professione legale fosse sovraffollata, ma, nel complesso, non si può dire che tra i ceti intellettuali in Italia ci fosse un numero allarmante di disoccupati. Per l'Italia come per il resto del mondo, i quindici anni che precedettero la guerra furono un periodo di grande progresso economico e di sviluppo ininterrotto dei servizi pubblici. I giovani che anno dopo anno venivano sfornati dagli istituti supe– riori di istruzione erano praticamente assorbiti tutti senza difficoltà dalle imprese private e dagli enti pubblici nazionali e locali. Dopo la guerra, il numero di giovani laureati nelle università salf a 6.697 nel 1919; 9.102 nel 1920; 9.365 nel 1921; 9.046 nel 1922; 11.140 nel 1923. Ma questo aumento non produsse nessun percettibile grado di disoccu– pazione. Durante la guerra erano rimasti uccisi 60.000 ufficiali, un terzo dei quali si può sicuramente considerare che provenisse dalle professioni liberali, e anche l'epidemia influenzale dell'inverno 1918 si portò via molti intellettuali. I nuovi arrivati prendevano il posto di coloro che non c'erano piu. Inoltre, nel decennio 1913-23, la popolazione italiana aumentò da 35 milioni a 39,5 milioni, e era naturale che la crescita della popolazione fosse accompagnata da una corrispondente crescita dei ceti intellettuali. Sotto il regime fascista, grazie all'aumento delle tasse scolastiche con 303 Bibloteca Gino Bianco

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