Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Sotto la scure del f ase1:smo in Italia, 2.000 al massimo hanno un ufficio di collocamento, 9 e la maggio– ranza di questi si trovano nei piu importanti centri industriali e agricoli dell'Italia settentrionale. Per le restanti 5.000, abitate principalmente da una popolazione rurale e comprendenti praticamente tutti i centri abitati del Mezzogiorno e la maggioranza di quelli dell'Italia centrale, è sempre l'im– piegato comunale che continua a fornire i dati mensili. Anche nelle cifre raccolte dagli uffici di collocamento ci sono due fonti di errori, il primo dei quali per eccesso, il secondo per difetto: 1. Molti lavoratori si iscrivono contemporaneamente come disoccupati negli elenchi di mestieri diversi, sperando in tal modo di aumentare le loro probabilità di trovar lavoro; cos1 lo stesso individuo è contato come disoc– cupato diverse volte. Molti, poi, non si curano di notificare all'ufficio di collocamento che hanno trovato lavoro. 2. I lavoratori sanno che se non mettono in vista il distintivo di un sindacato fascista saranno guardati con sospetto dagli impiegati dell'ufficio di collocamento, e perciò se non hanno intenzione di aderire a un sindacato non si curano di iscriversi. 10 In La RiJorma Sociale (marzo-aprile 1933, p. 253), Antonio Rainoni affermava che sulle statistiche della disoccupazione ·"nelle città manca ogni sicuro elemento che ne permetta la rilevazione." Ciò vale ad ancor maggior ragione per le zone rurali. In Italia ci sono non meno di un milione di piccoli proprietari i quali non possono vivere sul loro pezzetto di terra, ma devono lavorare per una parte dell'anno nelle fabbriche vicine o come mano d'opera salariata per altri proprietari terrieri. Ma anche quando non rie– scono a trovar lavoro all'infuori del loro pezzetto di terra, non vengono iscritti come disoccupati perché essi sono "proprietari terrieri" e come tali classificati in compagnia dei milionari che vivono in ozio. Come se tutto ciò non bastasse, i dati inviati a Roma sono sistematica– mente falsificati. Ho già fornito le prove, a sostegno di tale affermazione, nella rivista 9 . Ai primi del 1930 ne esistevano 1.400 '("Corriere della Sera," 2 febbraio 1930). Nei tre anni successivi è probabile che siano aumentati, ma non di molto data la ristrettezza :finanziaria. Secondo le notizie ufficiali pubblicate in "Sindacato e Corporazione," gennaio 1934, p. 141, la spesa per gli uffici di collocamento nell'anno fiscale 1933.34 ammontò a lire 17.502.389. Dato che non sa– rebbe possibile far funzionare nessuno di questi uffici senza spendere almeno lire 8.000 all'anno (stipendio per un impiegato, affitto, luce, cancelleria, ecc.), è legittimo concludere che il numero degli uffici di collocamento non può superare i 2.000. Ad una riunione dei funzionari dei sinda– cati agricoli, tenuta nel settembre 1934, uno degli intervenuti sostenne che il numero degli uffici di collocamento dovrebbe essere raddoppiato, perché "un agricoltore o un contadino non farà mai 40-50 chilometri magari in zone collinari o montane per rivolgersi ad un ufficio di collocamento; naturalmente preferiva restare a casa" ("Lavoro Fascista," 7 settembi-e 1934). 10 In una circolare del febbraio 1930, il ministero delle Corporazioni diceva di aver notato che "da parte di molti lavoratori esistono delle perplessità e dei timori che li inducono a non iscriversi nei ruoli di disoccupati tenuti dagli uffici di collocamento"; tali perplessità, continuava "dipendono dalla supposizione che l'iscrizione dei prestatori d'opera disoccupati negli elenchi possa comportare l'obbligo di iscriversi nei sindacati." Il ministero pertanto "ha invitato i dirigenti degli uffici di collocamento a fare opera di persuasione e dissipare ogni equivoco, spiegando che, come i sindacati esplicano la loro azione a beneficio di tutte le categorie e non solo degli iscritti, cosi anche gli uffici di collocamento sono istituiti per tutti indistintamente i lavoratori disoccupa– ti. [ ... ] Questo naturalmente non toglie che l'iscrizione ai sindacati debba essere favorita in ogni modo" [''La Stampa," 26 febbraio 1930: N.d.C.] 220 Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=