Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Sotto la scure del fascismo t'acqua è nel mare. L'abate non sapeva che cosa rispondere, ma in sua vece si presentò davanti al tiranno un suo mugnaio, il quale affermò che secondo i suoi calcoli la distanza di qui al cielo era di "trentasei milioni e ottocento cinquantaquattro mila e settantadue miglia e mezzo e ventidue passi," e che nel mare vi sono "venticinque milia e novecento ottantadue di milioni di cogna e sette barili e dodici boccali e due bicchieri" d'acqua, sebbene "questo m'è stato molto forte a vedere, perché è cosa che non sta ferma, e sempre ve n'entra." "Disse il signore: Come 'l sai? Rispose: Io l'ho veduto il meglio che ho saputo: se non lo credete, fate trovar de' barili, e misurisi; se non trovate essere cosf, fatemi squartare." Bernabò trovò la risposta molto intelligente e decise che il mugnaio diventasse abate e l'abate • mugnaio. Eppure informazioni attendibili sul costo della vita non mancano. In un articolo pubblicato nel Lavoro, 2 maggio 1934, il senatore Ricci accetta ~ come buone le statistiche riguardanti il costo della vita a Genova, secondo le quali nel gennaio 1934 lire 216,33 bastavano per comprare generi che nel giugno 1927 sarebbero costati lire 287,14. Ciò vorrebbe dire che il costo della vita era sceso del 24,65 per cento. Nello stesso giornale, il 4 maggio 1934, un lettore affermava che il senatore Ricci non aveva tenuto conto dell'aumento delle imposte: a partire dal gennaio 1933, i dipendenti delle imprese private avevano pagato l'imposta di ricchezza mobile che prima pagavano i loro datori di lavoro (cfr. sopra p. 204); inoltre era aumentata l'aliquota di ricchezza mobile pagata ai con1uni: "Non si cadrebbe certo in errore se si calcolasse l'aumento della ricchezza mobile al 1O per cento " 11 ; perciò si peccava di ottimismo, almeno per i dipendenti delle imprese pri– vate, valutando il ribasso del costo della vita tra il 1927 e il 1934 come del 25 per cento. Poiché nello stesso periodo i salari furono ridotti di circa il 50 per cento, si deve concludere che in quegli anni in Italia gli operai in– dustriali perdettero il 25 per cento dei loro salari reali. E se si tiene pre– sente il fatto che i salari reali erano già stati ridotti del 10 per cento tra il 1922 e il 1926, il risultato a cui si arriva è che nel 1934 in Italia gli operai industriali potevano acquistare con il loro salario meno di due terzi dei generi che erano in grado di acquistare prima della "marcia su Roma.,, Perfino il direttore dell'Ufficio internazionale del lavoro, nel suo Report del 1933 (p. 44), calcolava che in Italia, tra il 1929 e il 1932, il potere di acqui– sto dei salariati si fosse ridotto del 19 per cento. Se aggiungiamo le perdite 11 Tale affermazione non è esagerata. Perfino gli esperti fascisti ammettono che in media le tasse sono aumentate dal 20 per cento del reddito nel 1926 al 29 per cento nel 1933 (V. M. DEAN, Italy in the World Crisis, in "Report of the Foreign Policy Association, 11 30 gennaio 1935, p. 309). Il peso sulle classi meno agiate deve essere stato assaì maggiore del 9 per cento, dato che si preferf aumentare le imposte indirette piuttosto che quelle dirette. FINER, Mussolini' s Italy, cit., p. 532, ha osservato che le imposte dirette salirono dal 28,5 per cento nel 1913-14 al 38,59 per cento nel 1921-22, ma nel 1931-32 sotto il governo fascista furono ridotte al 28,41 per cento. Poiché il gettito delle imposte sugli affari {21,61 per cento di tutte le entrate dello Stato) si può tranquillamente spartire a metà tra le imposte dirette e indirette, la conclusione è che in Italia le imposte indirette rappresentano il 60 per cento e le imposte dirette il 40 per cento di tutte le entrate statali, "pressoché l'opposto del sistema inglese." In questi ultimi cinque anni le cose sono peggiorate. 214 Bibloteca Gino Bianco

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