Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Sotto la scure del fasdsmo Inoltre, chi era a conoscenza della vigente legislazione fascista sapeva che datori di lavoro, prestatori d'opera e professionisti non potevano dare vita a nessuna organizzazione senza essere a ciò autorizzati dal partito al potere; in altre parole, essi non erano affatto liberi di organizzarsi, se per libertà di organizzazione intendiamo ciò che intende ogni persona di buon senso e in buona fede, cioè il diritto di costituire associazioni che non siano sotto il controllo del partito al potere. Una clausola nell'articolo 12 dice: "La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all'accordo delle parti nei con– tratti collettivi." Qui c'è qualcosa che si avvicina ad un principio legale chiaramente definito, cioè la proibizione di norme generali. Ma nel maggio e nell'ottobre 1927, nel novembre 1930 e nella primavera 1934, norme gene– rali provocarono riduzioni salariali (cfr. piu avanti pp. 173-74, 179-80, 188). L'articolo 4 dichiarava che: "Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, me– diante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione." L'articolo 5 spiega che "la magistratura del lavoro è l'organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro." L'articolo 6 affida alle associazioni professionali legalmente riconosciute il compito di assicurare "la uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori." L'articolo 12 afferma che l'azione del sindacato e le sentenze della magistratura del lavoro "garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro." Nessuna per– sona di buon senso può fare a meno di riconoscere gli interessi della produ– zione, perché una flessione in un dato ramo ha un effetto negativo non soltanto sui datori di lavoro e i lavoratori di quel particolare settore, ma anche sui consumatori e sulla comunità in generale. Allo stesso modo, nes– suna persona di buon senso contesterà il principio che i salari debbano essere fissati non solo in base alle esigenze normali di vita dei lavoratori ma anche al rendimento del lavoro. Ma come si fa a sapere se un aumento salariale minaccia i superiori interessi della produzione; se una riduzione salariale compromette le esigenze normali di vita alle quali ha diritto ogni essere umano; e se il rendimento del lavoro è tale da rendere possibile un aumento salariale o inevitabile una riduzione? Su tutti questi punti è probabile che le risposte del datore di lavoro siano del tutto diverse da quelle dei lavora– tori. Chi deve decidere tra di loro? Sul Popolo d'ltalz·a, 23 aprile 1927, si leggeva l'affermazione di Bottai che "per la Carta del lavoro italiana non esistono limiti, né massimi né minimi, alle possibilità del benessere materiale e morale dell'individuo." L'articolo 9 affermava che "l'intervento dello Stato nella produzione eco– nomica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa pri– vata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato." Neppure i piu fanatici credenti nel laissez-f ai"re troverebbero alcunché da obiettare a questa proposizione: essi si limiterebbero a considerare ciascun caso separatamente, 88 Bibloteca Gino Bianco

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