Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Le corporazioni e la Carta del lavoro sostenendo ogni volta che l'iniziativa privata è sufficiente, e che in nessuno di tali casi sono in giuoco interessi politici dello Stato. Un comunista, vice– versa, si servirebbe della stessa proposizione per porre sotto il controllo del governo l'intera vita economica della nazione, dimostrando che l'iniziativa privata non è mai sufficiente e che gli interessi della comunità esigono sem– pre l'abolizione della proprietà privata. Fortunatamente per la proprietà pri– vata, l'articolo 7 afferma che il fascismo "considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento piu efficace e piu utile nell'inte– resse della nazione." Chi si spingesse troppo avanti nel chiedere l'intervento dello Stato dovrebbe fare i conti con tale clausola. Lo stesso articolo afferma che l'organizzatore dell'impresa privata "è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo Stato," e per di piu, che il prestatore d'opera "è un collaboratore attivo dell'impresa econo– mica." Ma questi non erano altro che principii morali, da fare il paio con il principio che "il lavoro è un dovere sociale." Il prestatore d'opera che volesse davvero diventare "un collaboratore attivo dell'impresa economica" verrebbe subito edotto dalle parole immediatamente seguenti il testo dell'articolo 7 di come la direzione dell'impresa "spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità." Una serie di articoli affermano che "il prestatore d'opera ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche," che "dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore di opera (...) ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito," che "il lavoratore ha diritto, in caso di licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio"; e che lo Stato fascista si propone: 1) Il perfezionamento dell'assicurazione infortuni; 2) il miglioramento e l'esten-– sione dell'assicurazione maternità; 3) l'assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all'assicurazione generale contro tutte le malattie; 4) il perfezionamento dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5) l'adozione di forme speciali assicurative dotalizie per giovani lavoratori. Nella seconda parte di questo libro il lettore sarà informato sulla legi– slazione sociale prefascista. Ne concluderà, come siamo certi, che il fascismo non aveva bisogno di impressionare il genere umano con la sua "Dichiara– zione dei diritti e dei doveri del produttore" per arrivare ai suoi risultati. In conclusione, la Carta del lavoro non è altro che una raccolta di principii astratti, di proposizioni equivoche, di buone intenzioni, e di parole prive di senso. Parlando al Senato il 14 marzo 1930, Ciccotti disse che la Carta del lavoro "consta di trenta aforismi, che io voglio augurarmi possano tradursi, se e quanto sia possibile, in atti, ma che per adesso sono trenta aforismi. " 6 Rosenstock-Franck, al quale dobbiamo il migliore studio sulla Carta, ha richiamato l'attenzione sul fatto che la Carta del lavoro fu promulgata 6 A. P., Senato, Legislatura XXVIII, Discussioni, vol. II, p. 1964. 89 Bibloteca Gino Bianco

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