Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Le corporazioni e la Carta del lavoro Le Corporazioni costituiscono l'organizzazione unitaria della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. In virtu di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le Corporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di Stato. Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le Corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rap– porti di lavoro ed anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuti i necessari poteri dalle associazioni collegate (art. 6). Nelle controversie collettive del lavoro l'azione giudiziaria non può essere intentata, se l'organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione (art. 1O). L'ufficio di collocamento a base paritetica è sotto il controllo degli organi corporativi (art. 23). Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è piu possibile, il sistema e gli istituti di previdenza (art. 26). Gli organi corpo– rativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro (art. 25). Di quali persone dovevano essere composte le corporazioni e gli orga– ni corporativi? Su questo punto il mistero rimaneva impenetrabile. Per riparare a tanta oscurità, l'articolo 1 del documento annunciava che: "La nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. È una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista." Cosf fu risolta una volta per sempre la spinosa disputa intorno alla quale si accaloravano filosofi e sociologi, sulla natura organica o non organica della società; società, nazione e Stato divennero termini intercambiabili. L'articolo 2 dichiarava che "il lavoro (...) è un dovere sociale." Anche San Paolo, ai suoi tempi, disse che colui che non lavora non avrebbe man– giato. Purtroppo il suo precetto morale non era sostenuto da alcuna sanzione legale. Ecco perché esso è stato di conforto a molte anime nobili negli ultimi diciannove secoli, ma non ha mai costretto il figlio di un milionario a met– tersi a lavorare di muscoli o di cervello. Allo stesso modo, l'articolo 2 della Carta sinora non ha obbligato nessuna principessa romana a dedicarsi a compiti piu ardui che non il giuoco del bridge o la caccia alla volpe. Nep– pure i disoccupati italiani, che ne sarebbero stati ben lieti, hanno potuto adempiere il "dovere sociale" del lavoro. Il principio fascista che il lavoro è un dovere sociale rimane sospeso in aria, come gli angeli e i passerotti. L'articolo 3 rende noto che: "L'organizzazione professionale o sinda– cale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la cate– goria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito, di tutelarne, di fronte allo Stato o alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipu– lare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria." In tal modo, la libertà di organizzazione era concessa nelle prime sei parole, ma subito dopo le organizzazioni alle quali tale libertà era con– cessa venivano divise in due classi: quelle alle quali lo Stato, cioè il Partito fascista, dava la sua protezione, investendole del monopolio di quelle fun– zioni per le quali le organizzazioni contano qualcosa sia per i datori di la– voro che per i lavoratori; e quelle altre non piu utili, da un punto di vista economico, di un corso di insegnamento biblico o di un circolo danzante. 87 Bibloteca Gino Bianco

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