Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

I Capitale e lavoro nell'Italia fascista sarebbe espulso dall'organizzazione come "indesiderabile dal punto di vi– sta nazionale" e potrebbe aspettarsi, la mattina dopo, la visita di un mili– ziotto che lo ridurrebbe alla ragione. Nel maggio 1928, il segretario del sindacato dei lavoratori dell'agricol– tura, apd il congresso dell'organizzazione dicendo a Rossoni, allora presi– dente di tutte le Corporazioni nazionali: "Oggi voi detterete le norme che dobbiamo seguire. Abbiamo un solo orgoglio, quello di considerarci inter– preti della vostra volontà, poiché sappiamo che la vostra volontà è al ser– vizio del 'duce.' Siamo qui per ascoltare i vostri ordini." Rossoni replicò: "Nei sindacati fascisti non permetto la menoma riserva nei riguardi dei comandamenti del 'duce' e della rivoluzione. Nessuna riserva." Nel gennaio 1932 la conferenza nazionale dei datori di lavoro nelle industrie consistette in un discorso del presidente, un discorso del ministro delle Corporazioni, un discorso del segretario e la elezione delle cariche. 11 Il 6 aprile 1933, il congresso della Confederazione nazionale delle Cor– porazioni dell'industria, che ha due milioni di soci, consistette in un discor– so di saluto del presidente e in un altro discorso di saluto del rappresentante del partito fascista; dopodiché uno dei congressisti dichiarò che "ogni di– scussione sarebbe stata superflua"; un altro propose che il presidente della Confederazione fosse confermato in ufficio per acclamazione; un altro lesse i nomi del direttorio nazionale, invitando l'assemblea ad acclamare; l'assem– blea acclamò; allora il sottosegretario alle Corporazioni fece una conferenza sul sindacalismo fascista, e fu tutto. 12 Nella sua concione, il sullodato sottosegretario, fra le altre amenità, dis– se anche questa: Comincia da domani la vostra vera attività sindacale. Bisogna costitmre non solo sulla carta, ma nella realtà della vita organizzata, i sindacati provinciali; bisogna far vivere le sezioni. Bisogna fare in modo che gli operai prendano contatto con le loro orga– nizzazioni, discutano nelle assemblee sui loro bisogni, sul rendiconto annuale, sull'attività dei dirigenti, esprimendosi liberamente. Soltanto cos1 il sindacato diventa qualche cosa di vivo e di fecondo. Un "impiegato presso un'azienda privata di Firenze" fece il seguente commento al discorso del sottosegretario in un settimanale della sua città, L'Universale (25 aprile 1933): Poco di quello che deve cominciare da domani è avvenuto finora. A me non si è mai offerta la possibilità di prender contatto, ecc., di discutere nelle assemblee, ecc., di esprimere, ecc. L'invito è opportuno sopratutto per quel che riguarda il contatto. Sa– rebbe assai spiacevole se questi benedetti sindacati si riducessero, nel concetto della mag– gioranza degli iscritti, a una specie di società di assicurazione. Sulla rivista Problemi/,·del lavoro, febbraio 1933, un operaio, che si guar– dò bene dal dare il proprio nome, deplorava che non fosse possibile, nem- 18 11 "Resto del Carlino," 22 gennaio 1932. 12 "Lavoro fascista," 7 aprile 1933. eca Gino Bianco 503

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