Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

Il fascismo e le minoranze ga col fatto che gli italiani del Trentino vivono in territorio perfettamente separato da quello dei tedeschi dell'Alto Adige, e perciò i nazionalisti ita– liani non erano in grado di venire a lite in tutte le ore della giornata coi tedeschi; invece nella Venezia Giulia gli italiani delle città vivono gomito a gomito con gli slavi delle campagne circostanti, e perciò le occasioni di attrito sono continue. Inoltre i tedeschi dell'Alto Adige compresero fino dal– la primavera del 1919 che la Conferenza della pace aveva irrevocabilmente deciso il loro destino e portarono nelle loro proteste contro l'annessione al– l'Italia la scoraggiata remissività degli sconfitti. Invece, le sorti della Vene– zia Giulia e della Dalmazia rimasero indecise fino al novembre del 1920; per due anni gli slavi vissero nella speranza che il presidente Wilson avreb– be costretto il governo italiano ad abbandonare alla Jugoslavia tutti i ter– ritori che questa rivendicava, e da siffatta illusione erano spinti a moltipli– care le manifestazioni di indi~erenza e di aggressività contro la occupazione italiana. Per rappresaglia, i nazionalisti ed i fascisti italiani fecero proprio in questa zona i primi esperimenti dei loro metodi, non solo contro le or– ganizzazioni degli operai italiani, ma anche contro quelle della popolazione slava. Le autorità civili e militari e giudiziarie cominciarono proprio qui a parteggiare sfacciatamente per gli autori delle prepotenze "nazionali" con– tro i "bolscevichi" e contro gli slavi. A Trieste, il 13 luglio 1920, il signor Giunta, sino a poche settimane fa sottosegretario di Stato alla Presidenza nel gabinetto Mussolini, capitanò le bande, che mandarono in fiamme il "Narodni Dom" sede di tutte le organizzazioni politiche, economiche e cul– turali slave della città, arrecando in complesso un danno di 185 mila doL– lari.4 La polizia assisté inerte a tanto scempio. Gli incendiari andavano a prendere dalla vicina caserma militare le latte di benzina necessarie al loro nobile lavoro. Da allora in poi le bastonature, i saccheggi, gli incendi figu– rarono come rubrica abituale nella cronaca giornaliera della Venezia Giulia. Quando fu firmato il trattato di Rapallo, che abbandonava alla Jugo– slavia la Dalmazia, ma annetteva all'Italia, nella Venezia Giulia, piu di mezzo milione di slavi, la situazione era già molto compromessa, ma nulla era ancora avvenuto di irreparabile. Il governo si era dimostrato fino al– lora complice dei nazionalisti e dei fascisti nelle loro prepotenze contro gli slavi. Ma si poteva sempre sperare che si trattasse di una fase transitoria e che presto si sarebbe ristabilita una. condizione di ordine e di pace. Il 27 novembre 1920, il ministro degli Esteri, che aveva negoziato il trattato di Rapallo, Sforza, fece alla Camera la seguente dichiarazione: L'amore della nostra patria non deve significare dispregio del sentimento patrio di altra razza, sia pur piu giovane e di storia men gloriosa... Abbiamo dovuto accogliere nel nostro seno centinaia di migliaia di slavi. A questi slavi cui conviene, del resto, ri– manere in contatto coi loro centri naturali, ma italianissimi, Gorizia e Trieste, assicure- 4 "Fu l'epoca della diana fascista, di Giunta e dei suoi squadristi. Tramontarono cosi d'un tratto tutte le illusioni slave." "Corriere della Sera, 11 3 ottobre 1928. 479 LiblotecaGino Bianco

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