Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

Lauro De Bosis dare un processo pubblico. I giornalisti italiani e non italiani asserviti a Mussolini avrebbero falsificato le sue parole e fatto scempio del suo onore, ancora una volta. Probabilmente non sarebbe neanche stato portato al pub– blico dibattimento. Appena arrivato a Roma, sarebbe sparito senza lasciar traccia di sé. Naturalmente discutevamo sulla monarchia e sul Vaticano, e discute– vamo a perdita di fiato. Il dissenso politico era sul metodo piu che sulla so– stanza. Lauro era giunto alla conclusione che in ultima istanza una repub– blica era diventata oramai inevitabile in Italia, ma per il passaggio dal di.– spotismo fascista alla repubblica riteneva probabilmente necessaria la fase intermedia di una monarchia costituzionale, grazie alla quale il paese avesse un minimo di libertà, che gli permettesse di cercare a ragion veduta la sua strada. Un rovesciamento del regime fascista non poteva avvenire senza la cooperazione della monarchia e dell'esercito. Secondo me, Lauro perdeva il suo tempo quando eccitava il re a restaurare le istituzioni libere. L'uomo era troppo scettico e vile per prendere una iniziativa di quel ge– nere. Nel 1925 aveva lasciato che i fascisti bastonassero a morte uno dei suoi fedeli, Giovanni Amendola. Aveva lasciato ora che due monarchici, Vinciguerra e Rendi, fossero condannati a quindici anni di galera. Perché sciupare energie preziose su una via senza uscita? Quanto al papa e alla Azione Cattolica, non erano essi che sostenevano Mussolini in Italia. Era Mussolini che li proteggeva quando facevano quel che voleva lui, e li mi– nacciava quando non obbedivano. In compenso dei privilegi che otteneva– no in Italia, facevano la "propaganda" di Mussolini all'estero. Finché la dittatura fascista fosse rimasta salda sulle sue basi, il papa sarebbe rima– sto buon amico di Mussolini insieme al re. Dopo che la dittatura fascista fosse andata in rovina, che bisogno ci sarebbe piu stato di esortare tanto il re quanto il papa a cambiare connotati? "Lascia che i morti seppellisca– no i loro morti," gli ripetevo. Come sempre avviene, ciascuno rimaneva del proprio parere. Ma il no– stro dissenso non offuscò mai la nostra amicizia affett~osa. Io sentivo in lui un cuore sincero e puro. C'era nel suo pensiero una eccezionale onestà. Ave– va un assoluto disinteresse personale. Era immune da quello che è un dir fetto piu comune in Italia che negli altri paesi: la vanità. A parte il fascino che esercitava su me quella lucida aurora giovanile, io ero persuaso che chiunque intendesse combattere la dittatura fascista - monarchico, cattoli– co, repubblicano, socialista, comunista, anarchico che fosse - dovesse esse– re accolto come fratello e cooperatore. Ciascuno combattesse sotto la pro– pria bandiera coi propri metodi. Marciar divisi e colpire uniti. Caduto il nemico comune, ognuno avrebbe ripreso la propria strada nel nuovo clima di libertà per tutti. Col passare dei giorni si rinsaldava nel suo animo il proposito di effet- tuare il volo su Roma. Volare su Roma! Ma dove trovare i mezzi per imparare a volare e 447 Jibloteca Gino Bianco

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