Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

Lauro D~ Bosis Alla fine del 1924 - a ventitré anni - chiamato dalla società "Italia– America,, di New York, visitò per la prima volta gli Stati Uniti e vi fece con– ferenze su soggetti di letteratura, storia e filosofia. Parlava correntemente l'inglese, era attraente, di maniere semplici e raffinate. Ebbe un grande suc– cesso. D'allora in poi passò sempre parte del tempo in America. Nell'estate del 1926 insegnò lingua e letteratura italiana nel corso estivo di Harvard. In quegli anni pubblicò in forma abbreviata la traduzione dell'opera famo– sa di J. G. Frazer, Il Ramo d'oro, sulla magia e religione dei popoli primitivi (1925); e poi le traduzioni de LA vita privata dì Elena di Troia di J. Erskine (1928) e di Il ponte di San Luis Rey di T. Wilder (1920). Negli Stati Uniti, meglio che se fosse vissuto in Italia, Lauro non poteva non aprire gli occhi al significato di quanto avveniva in Italia. Gli scritti piu seri che si pubblicavano in America sull'Italia, e le conversazioni con perso– ne assennate e moralmente integre gli rivelavano che il fascismo invece di essere unanimemente ammirato fuori d'Italia, come si faceva credere alla ignara gioventu italiana, era oggetto di disprezzo quando non faceva ridere. Sollevavano la sua indignazione i metodi con cui gli agenti della propa– ganda fascista facevano fuori d'Italia la campagna in onore e gloria di Mus– solini. "Il popolo italiano,,, andavano raccontando quegli scellerati, "è un popolo semibarbaro, inetto a governarsi da sé. Chi non ha conosciuto in Ame– _rica gl'italiani che sbarcavano a New York e a Boston una volta? Poveri diavoli, spesso analfabeti, incapaci di muoversi senza essere guidati e sfrutta– ti dai 'padroni.' Chi non ha visto nelle cartoline illustrate i lazzaroni che inghiottono i maccheroni lunghi mezzo metro tenendoli in alto con le ma– ni e facendoli discendere nelle fauci? Gli italiani sono tutti cosL Nei ses.– sant'anni del regime libero non fecero nulla per imparare a lavarsi e a leggere e scrivere. Erano in mano alla mafia e alla camorra. Non c'erano strade, non c'erano ospedali, non c'erano scuole. Nessuno aveva voglia di lavorare. Tutti rubavano. Che cosa fecero essi durante la guerra del 1915- 1918 se non farsi battere a Caporetto? E dopo la guerra? L'Italia era in preda al bolsce-vi-smo! Finalmente la Divina Provvidenza, come ha certi– ficato papa Pio XI, ebbe pietà dell'Italia e inviò Mussolini a salvare quel– l'infelice paese. Mussolini mise l'Italia alla cura del bastone e dell'olio di ricino. E, miracolo!, ecco che in un battibaleno gl'italiani impararono a la– varsi la faccia, ad andare a scuola, a lavorare, a non rubare, a costruire strade, bonifiche, scuole. Tutto quello che gli americani, viaggiando in Ita– lia vedono di bello, è opera di Mussolini, salvo che risalga ai tiranni del Quattrocento o agli imperatori romani. Ridate la libertà al popolo italiano, e tutti i progressi di cui l'Italia è debitrice a Mussolini, andranno perduti.,, De Bosis ascoltava con orrore queste menzogne. Era, dunque, necessario disonorare senza scrupoli il popolo italiano per erigere un monumento di gloria a un uomo solo? Era dunque il popolo italiano condannato per se·m– pre? Perché trattarlo in Italia come una mandria di schiavi? Perché deni– grarlo all'estero come una razza di selvaggi e di delinquenti? 437 iblotecaGino Bianco

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