Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

Il primo dovere: conquistare la Nuova Libertà stessa ostinata inconsapevolezza delle nostre responsabilità, come potremo spe– rare che si formi intorno a noi quel consenso latente della maggioranza del paese, che è l'aria senza cui i grandi movimenti politici non possono respirare? III. La dittatura dei comunisti Il 1927 è stato per i fascisti un anno funesto. Sotto la pressione del di– sagio economico, moltissimi italiani hanno capito quale grande errore sia stato quello di lasciar che i fascisti abolissero le libertà politiche nella il– lusione che potessero migliorare le condizioni economiche. La massa apoli– tica, che, seccata dai disordini del 1919-1920, aveva dato le sue simpatie ai fascisti nella speranza che ristabilissero l'ordine, si è oramai del tutto alie– nata da loro. Essa è privata delle sue libertà personali. Contribuzioni ai sin– dacati, sottoscrizioni per il dollaro, per le ali alla patria, per il calendario del partito, per il matrimonio del ras; obbligo di partecipare ai cortei e ai comizi; obbligo di metter fuori la bandiera ogni cinque minuti; obbligo di avere addosso la carta d'identità; obbligo di non lasciarsi rastrellare dalla po– lizia per la strada dopo una certa ora; una gragnola di tasse sempre piu fit– ta; spionaggio da ogni parte; necessità di star zitti quando si avrebbe voglia di brontolare; gli affari vanno a rotoli. Una vita come questa non l'avevano fatta mai neanche negli anni della guerra, neanche negli" "anni del bolsce– vismo." Cosf non si va avanti. Chi ci libererà da questa insopportabile ca– tena di prepotenze e di seccature? A questa massa apolitica, che rimpiange la perdita di ogni libertà per– sonale, i comunisti promettono la "dittatura del proletariato." La dittatura fascista - essi dicono - si abbatte con una rivoluzione e non con mezzi legali; una rivoluzione antifascista non potrà avvenire, se le moltitudini degli operai e dei contadini non le danno le truppe di assalto; dunque la ri– voluzione antifascista non può essere che una rivoluzione comunista. I comunisti dividono la società italiana in capitalismo, proletariato ed "altri ceti." Quando dicono "proletariato" essi intendono i soli operai del– la grande industria a cui spesso danno il nome di "avanguardia del prole– tariato." La "dittatura del proletariato" la chiamano anche "stato operaio." Gli agricoltori, gli artigiani, gli operai della piccola industria, la piccola e me.– dia borghesia, sono gli "altri ceti." A questi altri ceti, i comunisti negano la denominazione di classe, ma ammettono che il loro malcontento ha una grande importanza per la lotta contro il fascis·mo. Il "proletariato" deve ap– profittare del loro malcontento per spingerli alla rivolta contro il capitali– smo; ma questa rivolta deve essere diretta dai comunisti, i quali debbono approfittare della crisi per spingersi in prima linea, armarsi, rimanere or·– ganizzati ed armati ed imporre la propria dittatura non solo al capitalismo ma anche agli "altri ceti." 399 BiblotecaGino Bianco

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