Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

L'opera degli emigrati scisti italiani in questi ultimi anni, non possono pretendere alla intangi– bilità delle loro tavole. È ridicolo, dopo quel po' po' di botte, di cui ab– biamo fatto la ricevuta, trovarci fra i piedi ancora della brava gente, che non ha imparato nulla, che non ha mutato nulla, e che ci ricanta che non c'è nulla da imparare, non c'è nulla da mutare e c'è solamente da ricomin– ciare da capo a biascicare le vecchie giaculatorie e a riprendere le vecchie lotte. Una lettera dall'Italia Io non sono giovane, ahimè! Ma mi tengo a contatto meglio che posso coi giovan.i che vivono in Italia. E sento di rappresentare esattamente il lo– ro stato d'animo quando affermo che i migliori fra essi non hanno la mi– nima dose di fiducia in nessuno dei partiti tradizionali, concentrati o scon– centrati che siano. Uno di essi, una delle fibre piu eroiche che io abbia mai conosciuto, mi scrive: Noi siamo senza bussola in un mare di oscurità. Quando c'erano i giornali, le riu– nioni, i congressi, noi avevamo modo di sapere quel che facevano gli altri, quel che avve– niva altrove, e potevano cosf integrare le nostre esperienze personali, controllare le ipotesi nostre sull'attrito delle opinioni altrui. Oggi quest<;> lavoro ci è reso impossibile. Non pos– siamo riunirci che in pochi per scambiarci le idee, per mettere insieme il frutto delle nostre personali esperienze. Ma quali idee? Quali esperienze? Non sappiamo nulla di quanto avviene a dieci passi da noi: di tanto in tanto ci pervengono notizie orali straor– dinarie, evidentemente deformate, spesso assurde. Di tanto in tanto qualche foglio clande– stino con qualche notizia piu attendibile. Ma le notizie non bastano. Abbiamo bisogno di idee collettive. Noi moriamo di inedia politica. È tutta la nostra coltura politica che si atrofizza. Noi abbiamo bisogno di saper quel che pensano gli altri. Noi abbiamo bisogno di sapere se le idee a cui noi perveniamo attraverso le nostre esperienze individuali, sono stramberie nostre, oppure se sono idee comuni ad altri uomini di cui ignoriamo la esi– stenza. Queste idee collettive noi non possiamo elaborarle perché ogni vita intellettuale ci è interrotta. Dovete elaborarle voi che vivete all'estero, che potete fare delle riunioni, che potete discutere liberamente, che potete far tesoro gli uni delle esperienze degli altri, che sapete quello che avviene in Italia e all'estero, mentre noi non sappiamo nulla, piu spe– cialmente di quanto avviene in Italia. Ma, per carità, non ve ne venite coi vecchi cata– plasmi. Le vecchie ideologie sono diventate tutte sdruscite, sgualcite, disgustose. Ne ab– biamo abbastanza. Non diteci quel che dobbiamo credere. Diteci quel che dobbiamo fare. Il problema è senza precedenti. Le formule dei vecchi partiti non aiutano a risol– verlo. Dopo l'assassinio di Matteotti dal mezzogiorno del gioved( al mezzogiorno del sa– bato, c'erano in Italia quasi tutte le condizioni necessarie per uno scoppio rivoluzionario. Le cimici fasciste erano sparite dagli occhielli ovunque. Le proteste contro Mussolini era– no generali e clamorose e violente. Duecento uomini, che avessero invaso Palazzo Chigi coi revolver alla mano avrebbero potuto defenestrare Mussolini senza trovare resistenza. Che cosa fecero i vecchi partiti? Nessuno era nello stato d'animo rivoluzionario. Tutti era– no nello stato d'animo legalitario, cioè tutti credevano che la indignazione morale del paese sarebbe bastata a spazzar via il fascismo, come le trombe di Giosuè abbatterono le mura di Gerico. E le masse di tutti i partiti erano nello stato d'animo legalitario in cu1 erano i loro condottieri. Cos( l'occasione passò. , Dare ai cond:Jttieri dei partiti la colpa di quanto non avvenne in ·Italia dalle ore IZ 29.9 BiblotecaGino Bianco

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