Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo II

Scritti sul fascismo Quest'ingrossarsi del fascismo non può produrre che la rovina delle finanze statali: ogni gruppo entra nel fascismo per continuare a vivere parassitariamente oggi, come viveva prima: e Pantalone continuerà a pagare. Ieri sera alla Biblioteca Filosofica, Gobetti parlò della coltura italiana nell'ultimo ventennio. Ci ero anch'io ed ebbi la malaugurata idea di met– termi in prima linea. Via facendo si mise a parlare di me. Non mi sarei mai immaginato di assistere al mio elogio funebre. Fu una vera comme– morazione presente cadavere. Io e don Sturzo riempimmo un quarto della conterenza. Modestia a parte, mi parve esagerato per quel che riguarda me. Che io abbia avuto una grande influenza sulla coltura di Gobetti e di un altro migliaio di giovani italiani mi pare chiaro; ma che ne abbia avuta sulla coltura italiana, no davvero. La mia influenza è stata un piccolo ruscello limpido e metodico in un territorio attraversato da torbide, disordinate, cieche correnti di sentimenti e di .interessi opposti ai sentimenti miei e agl'interessi, che io ho cercato di eccitare. Questa è la realtà. E sarebbe ridicolo che io m'illudessi e mi montassi la testa. Avendo dedicato la mia attività politica al problema del Mezzogiorno, mi sono trovato senza base nel Mezzogiorno, che è troppo ignorante, inerte, troppo pezzente intellettuale e morale per vedere i suoi diritti e per soste– nere chi sostiene i suoi diritti. In provincia di Bari non piu di una mezza dozzina di persone ha capito, dopo venti anni di propaganda, le mie idee. I contadini hanno intuito confusamente che ero con loro, ma non erano in grado di creare un movimento organico, povera gente! Avevano bisogno di una classe dirigente che li inquadrasse; ma non l'hanno trovata. Nel decennio 1904-1914 io non riescii a raccogliere intorno a me nessun gruppo abbastanza numeroso di piccoli borghesi: questi sentivano che ero loro av– versario. Vennero con me appena cinque o sei giovani generosi ma non pra– tici; gli altri - pochi del resto - non valevano niente, e non capivano ni~nte. Il piu forte nucleo di miei seguaci piccoli-borghesi, quelli di Mol– fetta, non aveva che una preoccupazione: farsi aiutare da me, sventolarmi come una bandiera per uccellar voti nella conquista del Comune. Dopo la guerra, sembrò che i combattenti venissero con me; ma questa era una tale razza di mascalzoni, che sudo freddo a pensare di essermi unito con loro! Ed ora sono andati a finire al fascismo: anche qui la massa dei con– tadini è buona, i condottieri sono piccoli-borghesi meridionali, quali li ho descritti io per la prima volta meritandomi i loro odii. Io, dunque, non ho avuto mai nessuna base nell'Italia meridionale. Fra me e i contadini non si è formata quella gerarchia intermediaria, che doveva muovere i contadini secondo la direzione delle mie idee: e non si è formata, perché la classe, che doveva dare questa gerarchia, la piccola borghesia intellettuale, è marcia spiritualmente e si sentiva minacciata dalla 94 BibloH~L;a Gino Bianco

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