Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

.. - - La marcia su Roma La mattina del 28, erano disponibili per una vera " marcia " su Roma quattro gruppi fascisti. Circa quattromila dislocati a Santa Marinella, vicino a Civitavecchia, a una cinquantina di chilometri a nord-ovest di Roma; circa duemila. a Orte, una cinquantina di chilometri a nord di Ro1na; circa otto– mila a Tivoli, a poco piu di venti chilometri a est di Roma; e un gruppo a Valmontone, circa trenta chilometri a sud di Roma, di cui nessuna fonte dà la forza. Questi gruppi non disponevano di mezzi di trasporto, e le linee ferro– viarie che conducevano a Roma avrèbbero potuto facilmente venire interrotte al momento voluto dalle truppe regolari con l'assistenza del tutto spontanea dei ferrovieri. Tra questi gruppi sparsi a ovest, est, nord e sud di Roma, non c'era un contatto diretto. Quanto al loro armamento, possiamo affidarci al Popolo d'Italia, del 1 novembre 1922, dove si dice che "le piu strane foggie caratterizzano questo poderoso esercito del dopoguerra (...). Predomina l'ar– mamento di bastoni e rivoltelle, ma numerosissimi hanno il fucile ed un leg– gero armamento di cartuccie. " Due altri testimoni oculari, il deputato belga Louis Pierard, e il giornalista americano C. Beals, descrivono i fascisti come "uomini armati nel modo piu fantastico, con rivoltelle, fucili da caccia, ba– stoni, mitragliatrici e zappe"; "armati di fucili e di gambe di tavolino." 19 Gli uomini dislocati a Foligno, e che dovevano costituire le "riserve," erano tremila, ma non piu di trecento erano armati. Il loro numero crebbe a cinquemila alla sera del 28 ottobre, e solo durante la notte tra il 28 e il 29 si impossessarono di due depositi di armi e poterono cosf armarsi. In ogni modo, da Foligno, che dista oltre cento chilometri da Roma, il 28 ottobre non avreb– bero potuto fare niente. Le forze dell'esercito regolare, concentrate a Roma, ammontavano a 12.000 uomini. Esse avrebbero potuto facilmente disperdere ad una ad una queste turbe. Non sarebbe occorsa una battaglia campale; sarebbe bastato lasciarle senza viveri e acqua in quel deserto che circonda Roma, tagliando le comunicazioni con le loro basi. Dopo ventiquattr'ore di questo trattamento, quattro fucilate distribuite con giudizio e una discreta dose di pedate sareb– bero state sufficienti a spedirli a casa col loro giusto castigo. A Roma, il decreto che proclamava lo stato d'assedio, era stato affisso alle ore 10 del 28 ottobre. Non appena conosciuta la notizia, i fascisti di Roma furono presi dal panico. Temevano che le autorità militari, richiamate al loro giuramento di fedeltà da un ordine perentorio del Re, avrebbero messo in moto la macchina della repressione. Dalle dieci a mezzogiorno per le strade di Roma non si vide un fascista. Un deputato fascista, Acerbo, scappò con indosso la camicia nera alla Camera dei deputati, e tremando da capo a piedi chiese se fintanto che rimaneva là poteva essere sicuro di non venire arrestato. Frattanto il presidente del Consiglio, Facta, portò il decreto al Re per la 19 L. PIERARD, Le Fascisme, Bruxelles, L'Eglantine, 1923, p. 7; C. BEALS, Rome o, Death, cit., p. 290; racconti analoghi fece il giornalista spagnolo Rafael Sanchez Mazas, ci– tato in L. VICENTINI, Il governo fascista giudicato fuori d'Italia, Milano, Barion, 1924, p. 43; ~ A. TASCA, Nascita e avvento del fascismo, cit., p. 508, n. 288. BiblotecaGino Bianco

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