Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

La reazione " antibolscevica 11 In poche settimane nelle provincie di Bologna, Ferrara e Cremona, cioè delle zone agricole piu ricche d'Italia, dove le leghe dei braccianti erano le piu potenti e le piu esigenti, la reazione ebbe il sopravvento. A partire da que– sto momento, i piccoli proprietari e gli affittuari si rifiutarono di acconsentire alle richieste delle leghe e si rimangiarono quelle concessioni già fatte du– rante i due anni precedenti; i loro interessi economici fomentavano il loro spirito di vendetta. Subito si unirono ad essi i grossi proprietari terrieri. Se– guendo l'esempio dei proprietari e dei coltivatori diretti della Valle del Po, anche quelli della parte occidentale della Lombardia, della Toscana, delle Puglie e della Sicilia irrigidirono la loro resistenza contro i braccianti e i mez– zadri. Anche gli industriali cominciarono non soltanto a rifiutare ogni ulte– riore aumento salariale, ma a imporre riduzioni salariali e a mettere in atto nelle fabbriche un piu rigido sistema di disciplina. Nessuno disse piu niente a proposito del " controllo " nelle fabbriche. Nel frattempo la questione di Fiume perdeva il suo mordente. Nel no– vembre del 1920, Sforza, d'accordo con i rappresentanti yugoslavi, aveva defi– nito la questione adriatica con _ilTrattato di Rapallo. 11 Con grande sorpresa di tutti, il 13 novembre 1920, Mussolini annunciò che nelle condizioni attuali era necessario accettare il Trattato di Rapallo; il problema avrebbe potuto essere risollevato nel futuro. 12 Giolitti, a cui venne chiesto che cosa avrebbe fatto Mussolini al momento della crisi finale, sorrise e fece il ·gesto di sfregare il pollice contro l'indice, abbastanza significativo ad indicare "quattrini." Alla Camera dei deputati e al Senato una maggioranza schiacciante approvò nel 1920 il Trattato di Rapallo. Dal canto suo, D'Annunzio proclamò che piuttosto che arrendersi sarebbe morto; ma Giolitti sapeva come trattarlo. Ri– cordò al Re che egli, come monarca costituzionale e comandante supremo delle forze armate, aveva il dovere di richiamare i capi militari al giuramento di fedeltà prestato a lui e allo Statuto. Il Re fece il suo dovere. Millo dimen– ticò di aver dato a D'Annunzio la sua parola d'onore e si sottomise. Gli altri capi militari non osarono disubbidire. In uno scontro con le truppe italiane regolari, alcuni dei soldati di D'Annunzio persero la vita. Quando si rese conto che l'esercito regolare faceva sul serio, D'Annunzio annunciò che non valeva la pena di gettare la sua vita " in servizio di un popolo cµe non si cura , di distogliere neppure per un attimo dalle gozzoviglie natalizie la sua ingor– digia," e abbandonò la scena. Nessun disordine grave avvenne in Italia. Que– sto scoglio era stato felicemente superato. Il 31 dicembre, con quel senso del momento psicologico che possedeva in grado eccezionale, Mussolini scrisse: u Vedi Cap. III, p. 334 12 " Persino l'organo del fascismo, dopo avere agitato per due anni con la massima viò-_ lenza la questione dalmatica, si piegò su se stesso, s'ammosciò, rinnegò la sua tesi, predicò la rassegnazione, abbandonò D'Annunzio. " A. TAMARO TI Trattato di Rapallo, in " Politica, " VI, 246, novembre 1 920. 535. ibloteca Gino Bianco

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