Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

L'occupazione delle fabbriche prietà privata, e chiesero che il governo impiegasse la forza per farli uscire dalle fabbriche. È quello che Giolitti si rifiutò di fare. In quel momento, una repressione con spargimento di sangue avrebbe costretto tutti i gruppi dei par– titi estremi a schierarsi dalla parte di chi occupava le fabbriche, creando quella coalizione di forze rivoluzionarie che gli stessi rivoluzionari non erano stati in grado di ottenere. Mentre gli operai erano in attesa non si sa di cosa, i socialisti litigavano tra di loro. A un consiglio nazionale della Confederazione del lavoro convo– cato d'accordo con la direzione del partito socialista, i comunisti e i piu accesi massimalisti chiesero che "la crisi venisse estesa" e che assumesse fini decisa– mente rivoluzionari. I socialisti di destra si dichiararono disposti a lasciare la direzione del movimento alla direzione nazionale del partito socialista; dopo di che gli estremisti avrebbero provocato una sollevazione rivoluzionaria, e la Confederazione del lavoro gli sarebbe andata dietro. I rappresentanti di Torino, del centro comunista piu attivo che vi fosse in Italia, fecero un resoconto tal– mente scoraggiante delle condizioni generali di quella città da un punto di vista rivoluzionario, che gli estremisti, messi di fronte alle loro responsabilità, non osarono accettare le proposte della Confederazione. 6 L'II settembre, dopo un giorno e mezzo di discussioni accanite, i massimalisti si divisero in destra e estrema, e questa venne sconfitta con 59r.ooo voti contro 409.000. 7 Di nuovo gli estremisti potevano affermare che la rivoluzione sociale non era stata pos– sibile perché gli altri compagni non l'avevano voluta. La rivoluzione sociale avrebbero dovuto farla i socialisti di destra, che non la ritenevano possibile, e non gli estremisti, che la promettevano tutti i giorni. Quello che questi vole– vano veramente era di trarre profitto da questa crisi per gettare discredito sui socialisti di destra, e toglierli di mezzo prima che scoccasse la " grande ora, " in cui il " proletariato rivoluzionario " doveva aver cura di sé. Via via che passavano i giorni, gli uomini videro che senza l'assistenza tecnica, le materie prime, la fiducia dei mercati esteri, l'occupazione delle fab– briche era inutile. Chiudendosi nelle fabbriche, si erano chiusi in una trap– pola, e il governo non doveva far altro che aspettare che si fossero stan·cati. Quando la stanchezza si fece avvertire, venne fuori Giolitti e concluse un 6 Le Parti Socialiste Italien et l'lntérnationale Communiste, Éditions de t'Internationale Communiste, Pétrograd, 1921, pp. 25, 87; A. TASCA, Nascita e avvento del fascismo, cit., PP: 121-122. Tasca era il rappresentante comunista di Torino presente alla riunione, ed è qumdi un testimone di prima mano. Egli scrive: "L'insurrezione armata è impossibile, perché non vi è niente di pronto. Le masse si sentono sicure dietro i muri dell'officina, non tanto per il loro armamento, spesso primordiale ed insufficiente, quanto perché esse considerano le officine come pegni che il governo esiterà a distruggere a colpi di cannone per sloggiarne gli occupanti. Da questo atteggiamento ' difensivo' alla lotta aperta della strada, la differenza è grande, e gli operai lo sentono, piu o meno confusamente. A Torino stessa, dove pure vi è un'avanguardia audace e meglio armata che altrove, i capi comunisti si astengono da ogni iniziativa in questo senso e frenano i gruppi che hanno preparato, alla Fiat, dei camion per una sortita" (p. 121). ·. 1 "L'Italia ha corso r.ischio di crepare in quei giorni: la rivoluzione non si è fatta, non perché ci fosse chi le contrastava il passo, ma perché la Confederazione del lavoro non l'ha voluta. " " Corriere della Sera, " 28 settembre 1 920. iblotecaGino Bianco

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