Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Lezioni di Harvard: L'Italia dal 1919 al 1929 rale Diaz, e nel caso che questo fatto fosse vero, perché il governo non aveva punito il generale Diaz, che non aveva impedito l'impresa di Fiume; doman– dò anche perché non si erano prese delle misure disciplinari contro quei capi militari responsabili della disciplina di quei reggimenti ai quali appartene– vano i soldati che avevano accompagnato D'Annunzio a Fiume; e perché il vice ammiraglio Millo, dopo aver dato a D'Annunzio la sua parola d'onore, era rimasto governatore della Dalmazia invece di venire destituito da tale carica e punito. Non si tratta di un soldato o di un ufficiale, che si assuma la responsabilità di abban– donare il posto per passare in altro campo; non si tratta di un generale, a cui si possa adde– bitare un errore o una colpa di imprevidenza o di omissione, ma che, formalmente almeno, • rimane nei cancelli della disciplina, conservando il suo posto nella subordinazione e nella gerarchia; non si tratta di un pubblico funzionario, che sentendo insorgere nella propria coscienza un contrasto irriducibile tra i suoi doveri gerarchici e la sua coscienza, si dimette, cede l'ufficio a un nuovo funzionario e, acquistata la qualità di libero cittadino, segue quella condotta che dalla sua coscienza è dettata. Si tratta di un altissimo funzionario militare che, continuando ad essere capo della gerarchia, il cui comando gli è stato affi– dato dal governo responsabile, assume l'obbligo di disubbidire eventualmente agli ordini di questo governo. È un caso di patente insubordinazione. Orbene, dopo questa tipica insu– bordinazione, il vice ammiraglio Milio rimane tuttora in qrica... Ed allora abbiamo il diritto e il dovere di domandare al presidente del Consiglio ed ai ministri della Marina e della Guerra, se in Italia la sovranità sulla politica estera ed interna è esercitata intera dagli organi del potere civile, cioè dal Parlamento e dal governo che abbia la fiducia del Parlamento, oppure se siamo in regime di diarchia civile e militare, nel quale regime, contro le deliberazioni della Camera e del governo esiste un diritto di veto da parte degli alti gradi della marina e dell'esercito. (...) Tutta questa discussione temo che non servirebbe a nulla, se noi continuassimo a fare come don Rodrigo, che, preso dalla pestilenza, non osava guardarsi là dove aveva il dolore, per la paura di riconoscervi i segni del male. 9 Ma fu come parlare a un sordo. I massimalisti videro la minaccia della dittatura militare, e la denunciarono nei loro discorsi e nei loro giornali; ma nella loro mentalità infantile erano convinti che tutto ciò che veniva ad indebolire il Parlamento, istituto del mondo capitalistico, affrettava il crollo totale di quel mondo. Se i capi militari attaccavano quell'istituto "borghese" dall'esterno 1 mentre i massimalisti lo sabotavano dall'interno, era tanto di guadagnato per la preparazione del "grande giorno." Il "proletariato rivo– luzionario " avrebbe fatto piazza pulita sia dei capi militari che del Parla- . mento. I massin1alisti segavano il ramo dell'albero su cui stavano seduti. Nitti non poté mai disporre di una maggioranza parlamentare stabile; dovette sempre affidarsi ai resti di quella maggioranza che, prima della guer– ra al tempo di Giolitti, era sembrata incrollabile, e che ora alla Camera era soltanto una minoranza, e sull'appoggio datogli di malavoglia dai deputati popolari, i quali votavano per lui solo perché non c'era nessun altro che po– tesse raccogliere intorno al suo nome una qualsiasi maggioranza. La sua tat– tica era di guadagnar tempo, vivendo alla giornata, e trarre profitto da quella 9 Discorso dell'on. Salvemini, Atti Parlamentari. Camera. Discussioni, Legislatura XXV, r a sessione, vol. I, pp. 502-504. BiblotecaGino Bianco

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