Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Capitolo decimo Lo sciopero generale dell'aprile 1919 I primi mesi dopo l'armistizio furono in Italia molto meno agitati che in Francia e in Inghilterra, per non parlare della Germania. A Parigi, nel gennaio del 1919, la vita della città fu completamente sconvolta da uno scio– pero di tutti i trasporti pubblici; in Inghilterra, nel febbraio e nel marzo 1919, vi furono scioperi nelle ferrovie sotterranee di Londra, nelle industrie metallurgiche in Scozia, nelle industrie elettriche, nelle ferrovie, nelle mi– niere e nei porti. Al confronto, l'Italia era tranquilla. I datori di lavoro erano disposti a concessioni generose nei confronti dei loro dipendenti, sia che si sentissero moralmente obbligati a dare prova di buona volontà, o che aves– sero paura di provocare con la resistenza pericolose rivolte. Il 3 febbraio, gli industriali e i rappresentanti sindacali delle industrie metallurgiche stipula– rono un accordo per le otto ore di lavoro, che per la prima volta erano state chieste nel 1889 da un congresso internazionale socialista, e contro le quali tutti gli economisti della scuola del laissez-faire avevano sollevato una serie infinita di obiezioni economiche, tecniche e morali. Il movimento in favore delle otto ore si diffuse rapidamente e vittoriosamente tra i tipografi, i lavo– ratori edilizi, i tessili, e tutte le altre categorie industriali e agricole. Contemporaneamente i socialisti di destra ripudiavano apertamente le idee filorivoluzionarie dei massimalisti e degli spartachisti; uno dei socia– listi della vecchia generazione che godeva di maggior prestigio, Camillo Prampolini, parlando a Reggio Emilia ad un comizio delle organizzazioni socialiste, deplorò che molti con leggerezza e faciloneria si riempissero la bocca di parole rivoluzionarie. [Il governo borghese sta elaborando dei preparat1v1 per sopprimere qualsiasi mossa rivoluzionaria. La libertà stessa che ci lasciano, di parlare e di scrivere, ci dovrebbe rendere sospettosi. La leggerezza con cui molti gridano " Viva la Rivoluzione, " è spaventosa. Il popolo crede che la rivoluzione porrebbe fine ai loro guai; questa fede nella violenza come mezzo per mutare la storia è una superstizione che non considera gli orrori connessi sia ad una guerra che ad una rivoluzione.] Noi abbiamo ribrezzo dei diplomatici che, freddamente seduti intorno ad un tavolo, deliberano la guerra, cioè il massacro di milioni di uomini. Ma i nostri circoli, ma i dirigenti non somigliano un po' a costoro quando, o per leggerezza o per freddezza di sentimento, deliberano o aderiscono alle azioni rivolu- BiblotecaGinoBianco

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