Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Il partito socialista peccatori, tra le forze del bene e quelle del male, nessun compromesso era ammissibile; la lotta tra "capitalismo" e "proletariato" doveva essere una lotta all'ultimo sangue. Quando nel gennaio del 1919 Mussolini e Mari– netti impedirono a Bissolati di tenere il suo discorso alla Scala, i massima– listi ripeterono che Bissolati aveva avuto quanto meritava; non aveva vo– luto la guerra? come si poteva aspettare una giusta pace? poteva mai es– serci una giusta pace senza che il comunismo dalla Russia dilagasse nel resto del mondo? Gli scioperi politici ed economici, sia locali che generali, erano salutati dai n1assimalisti quasi senza eccezioni come manifestazioni di spirito rivo– luzionario; non si rendevano conto che in questi scioperi troppo ripetuti la classe operaia non rafforzava le proprie forze, ma al contrario le esauriva, e che da ultimo se ne sarebbe stancata, respingendoli come futili e dannosi. I massimalisti facevano chiasso perché fossero adottati in Italia i soviet russi; non si resero mai conto che la parola russa "soviet" significa in italiano " unione, " e che le Camere del lavoro, sorte in Italia per esperienza propria e spontanea, erano i soviet italiani; non c'era nessun bisogno di importare in Italia dalla Russia istituti che in Russia erano nati dal crollo di un regime dispotico, che ayeva sempre negato ai lavoratori il diritto di organizzazione sindacale e le libertà municipali. I massimalisti italiani facevano come quel tale che cercava il cavallo, mentre gli stava in groppa; nelle loro mani, il partito socialista diventò in quegli anni un gigante mentecatto. La scissione all'interno del partito socialista ebbe i suoi effetti all'in– terno della Confederazione del lavoro. I socialisti di destra controllavano la maggioranza dei sindacati e la direzione centrale della Confederazione, ma molti sindacati locali erano sotto il controllo dei massimalisti; questi segU:i– vano la propria politica, proclamando scioperi di propria iniziativa ed ordi– nandone la cessazione, senza mai chiedere il consiglio o il benestare del direttorio nazionale della Confederazione. Nei momenti critici, i leaders della Confederazione si adoprarono sempre per tenere a freno le teste calde e riman– dare le decisioni pericolose; uno di questi leaders, Ludovico D'Aragona, in un discorso tenuto a Milano nel settembre del 1922, fece le seguenti affer– maz10m: Noi siamo forse responsabili d'aver troppo concesso nel periodo della follia bolsce– vica; ma abbiamo la coscienza di aver fatto tutto ciò che si poteva per infrenare gli im– pazienti. (...) Resta tuttavia, onore e -vanto nostro l'aver impedito lo scoppio di quella rivoluzione, che dagli estremisti si meditava. Dopo, quando noi già avevamo avuto l'onore d'impedire la catastrofe della rivoluzione è venuto il fascismo.1° Tuttavia, D'Aragona prese per sé e per i suoi amici piu onori di quanti non ne meritassero: piu dei socialisti di destra, furono i massimalisti che impedirono la catastrofe rivoluzionaria, perché furono essi che parlarono 1 ° Citato in Sempre!', Almanacco n. 2 (1923) di" Guerra di classe," Berlino, 1923, p. 47; cfr. anche" Corriere della Sera," 11 settembre 1922 e" Avanti!," 12 settembre 1922. [N.d.C.] 43 1 Bibloteca Gino Bianco

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