Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Lezioni di Harvard: L'Italia dal 1919 al 1929 la pace. Il governo italiano doveva intervenire nel conflitto generale con un programma di giustizia per tutti i popoli. Seguendo questa linea di condotta, esso avrebbe rinforzato le correnti democratiche e anti-imperialiste nei paesi della Intesa antitedesca, e avrebbe contribuito a preparare una pace che non contenesse i semi di una nuova guerra. La guerra poteva essere accettata, come si accetta con fermezza un sacrificio necessario, solo su questa base. Altri– menti la guerra sarebbe stata un imperdonabile delitto. Le idee di Bissolati erano viziate da una debolezza intrinseca. Né in Ita– lia, né fuori d'Italia i partiti socialisti e democratici erano preparati ad in– tenderle. Ovunque socialisti e democratici si divisero in due correnti, ambe– due contrarie al pensiero di Bissolati. Essi o rimasero legati agli slogans paci- · fisti e rivoluzionari, senza interessarsi affatto a tutto ciò che la guerra poneva in giuoco, o si lasciarono trasportare dalla esaltazione guerriera, e divennero facili prede della propaganda nazionalista. Bissolati trovò soltanto pochi se– guaci fedeli, sparsi qua e là in tutti i gruppi conservatori e democratici e tra quei democratici cristiani che non erano sotto il controllo del Vaticano, e che avevano in comune con Bissolati aspirazioni morali che non si urtavano col disaccordo dogmatico. I deputati del partito socialista ufficiale e i leaders del movimento sinda– cale erano pacifisti. Il pacifismo ha un grande vantaggio: che il pacifista non deve studiare nessun problema internazionale nei suoi elementi spesso terri– bilmente complessi. È sufficiente per lui coltivare nella testa e nel cuore una sola idea e un solo sentimento: l'opposizione alla guerra. Egli ha fatto voto di non capire niente, e per mantenere il suo voto non ha bisogno di affaticarsi il cervello. I deputati socialisti e i leaders sindacali non fecero mai un passo fuori della loro posizione pacifista; essi sostennero con fermezza una neu– tralità inerte e lamentosa. I leaders minori delle sezioni politiche locali del partito mostrarono riso- 1utamente la loro avversione alle potenze centrali, ma si rifiutarono non meno risolutamente di farsi trascinare nel campo della Intesa antitedesca; si man– tennero ostinatamente legati alla dottrina marxista, che i socialisti tedeschi avevano impoverito e ridotto ad un catechismo. La sola guerra a cui il prole– tariato si sarebbe dedicato era la guerra contro la società capitalistica. Il pro– letariato doveva lasciare che i capitalisti combattessero la loro guerra per la difesa della loro patria, e intanto si· sarebbero dovuti tener pronti per scate– nare la rivoluzione sociale, approfittando di quella "crisi della società capita– lista " vaticinata da Marx, e che finalmente era arrivata. Durante i mesi di luglio, agosto e settembre del 1914, il leader di questi uomini fu Mussolini. Fintanto che vi fu il pericolo che il governo decidesse di intervenire a fianco delle potenze centrali, Mussolini minacciò la rivoluzione. Nell'estate del 1914, come già nel 19u, affermava, sulle orme della dottrina marxista, che la rivoluzione sociale doveva scoppiare per impedire la guerra. Per sollevare il proletariato contro la guerra, nel 1914 egli si servf del generale sentimento di ostilit_àper l'Austria e la Germania, proprio come nel 19u si BiblotecaGino Bianco

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