Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Lezioni di Harva,·d: L'Italia dal 1919 al 1929 economica. E secondo il significato tradizionale del termine, una costituzione dittatoriale o totalitaria si ha quando vengono rigettati i diritti personali e politici dei sudditi. Se ci si vuole distaccare dal significato tradizionale dei termini e definire come dittatura quella che tradizionalmente si definisce democrazia politica, e in tal modo mettere nello stesso mazzo Roosevelt e Hitler, Churchill e Mussolini, si finisce poi per non capire piu niente nelle vicende umane, a meno che non ci si rifaccia da capo mettendo in due mazzi diversi la dittatura n° 1, ad esempio gli Stati Uniti, che hanno una democra– zia politica ma non economica, e la dittatura n ° 2, la Germania nazista, che non ha una democrazia né politica né economica. Su questa linea, per quanto riguarda l'Italia, il problema è di vedere se il suo regime prefascista si deve considerare una dittatura n° 1, o una ditt~tura n° 2. Noi continuiamo a de– finire come democrazia quella che i marxisti di stretta osservanza chiamereb– bero dittatura n° 1. E questo è tutto. Guglielmo Ferrero è dell'opinione che l'Italia non aveva una democrazia, ma un sistema politico intermedio tra le vecchie forme di governo assoluti– stico e le democrazie di Francia e Svizzera. Il Parlamento, pur compiendo ·vari uffici e tutti di importanza, non era un ot·gano dirigente. Controllava, in una certa misura, il Governo; era il portavoce, se non del popolo intero, di larghe e diffuse opinioni e di grandi interessi; serviva agli uomini di Stato come palestra, per esercitarsi al Governo. Ma la direzione della cosa pubblica era altrove e di– scendeva dall'alto, dalla penombra mezzo aulica mezzo burocratica, in cui si nascondeva quella che si potrebbe forse chiamare la " oligarchia degli anziani " : un piccolo gruppo di alti funzionari e di parlamentari autorevoli tutti attempati (per farne parte bisognava - e incomincio a credere non fosse male - avere i capelli grigi) i quali, appoggiati non al Parlamento soltanto, sempre un po' oscillante con l'opinione del paese, ma anche e piu alle due ossature dello Stato - Monarchia e Burocrazia - reggevano invisibili lo Stato e decidevano tutti gli affari capitali, sembrando di dipendere e cercando di andar d'ac– cordo con il Parlamento, in modo da farlo partecipe della responsabilità, ma sapendo con– trariarne e piegarne la volontà, quando era necessario. Insomma, il regime politico italiano era una " paterna democrazia, " in cui "trenta milioni di persone [erano] governate da trenta persone, a bene– ficio di trecentomila famiglie. " 1 Anche questa teoria ci porterebbe a concludere che in Italia non si abbatté una democrazia, e che perciò non c'è motivo di dolersene. Il quadro che Ferrero dà dell'Italia prefascista è giusto. Il suo errore sta nel credere che in Francia (nel 1925, al momento in cui scriveva), o in Sviz– zera, o in qualsiasi altro paese per il quale era disposto ad ammettere l'esi. stenza di istituti democratici, le cose andassero in modo sostanzialmente di– verso da quello dell'Italia prefascista. Sta di fatto che in Francia le elezioni generali del 1936 furono condotte con lo slogan: "Combatti contro le due– cento famiglie," che si diceva avessero il controllo della struttura economica, 1 G. FERRERO, La democrazia italiana, Milano, Edizioni della " Rassegna Internazionale, " 1925, pp. I2·IJ, 16. 344 BiblotecaGino Bianco

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