Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

La crisi del dopoguerra paganda, per convincere il popolo italiano che questi acquisti territoriali erano indispensabili per il benessere e il prestigio della nazione. Finita la guerra, gli inviati italiani alla Conferenza della Pace ottennero senza difficoltà quanto era da essi atteso secondo i titoli 1, 2 e 3. Ma con lo smembramento dell'Impero austro-ungarico, la guerra aveva portato alla na– scita della Yugoslavia (regno unito di serbi, croati e sloveni). Alla Conferenza della Pace, Sonnino si trovò a dover contendere i territori slavi e italo-slavi che il Patto di Londra assegnava all'Italia, non con gli Asburgo, che erano ormai usciti dalla scena, ma con i rappresentanti del nuovo stato yugoslavo. Il problema di Fiume sopraggiunse ad aumentare le difficoltà italiane. Questa città, abitata da una maggioranza italiana, e che sotto l'Impero austro– ungarico aveva sempre goduto della condizione di città libera, analogamente ad Amburgo in Germania, era stata lasciata da Sonnino alla Croazia, secondo i termini del Patto di Londra, che impegnava il governo italiano. Se l'Austria– Ungheria non fosse stata smembrata, la maggioranza italiana della città avreb– be potuto acconsentire che Fiume rimanesse città libera in uno stato plurina– zionale austro-ungarico-croato. Ma nelle condizioni attuali, essa si ribellava ali'idea di venir privata delle sue immunità tradizionali e lasciata alla mercé dei croati. Su questo punto, gli italiani tutti, senza distinzioni di fedi politiche, erano decisi a sostenere gli italiani di Fiume; anche coloro che erano convinti si dovesse arrivare ad un compromesso amichevole tra italiani e yugoslavi si univano alle schiere dei protestatari, esigendo almeno che la città conservasse la sua tradizionale autonomia sotto il protettorato italiano. La questione in sé non era ·di grande importanza. Nessun interesse vitale né italiano né yugo– slavo vi era coinvolto. Come ebbe a dire un giornalista americano, gli italiani fanno -tanto chiasso per un arancio e si scordano delle miniere d'oro disponi– bili altrove. Per risolvere il problema non c'era che un modo: rinunciare alla rigida esecuzione del Patto di Londra, servendosene invece come base di negoziati per raggiungere una sistemazione migliore. I ministri degli Esteri di Francia e d'Inghilterra, che secondo i termini del Patto di Londra erano impegnati a dare la Dalmazia all'Italia, adesso desideravano invece che questa fosse data alla Yugoslavia; per contro, l'Italia era impegnata dallo stesso Patto a dare Fiume alla Croazia, ma tutti gli italiani erano contrari alla cessione della città alla Yugoslavia. Sarebbe bastato quindi che gli inviati italiani avessero accon– sentito alla revisione del Patto di Londra, abbandonando le loro pretese sulla Dalmazia in cambio di Fiume. A una soluzione del problema in questi ter– mini si giunse finalmente tra il 1920 e il 1924, senza che la Yugoslavia an– dasse perciò in rovina, né l'Italia divenisse piu felice o acquistasse maggiore potenza per via di Fiume. Sia Sonnino che il presidente del Consiglio Orlando, durante i negoziati di pace, fecero tutto quanto era possibile per dare importanza al problema e • renderlo insolubile. Sonnino, come ministro degli Esteri, continuava a recla- loteca Gino Bianco

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