Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

La dittatura fascista in Italia a Regina Coeli - affinché chi veniva e andava capisse chi era il padrone del vapore - ma due agenti furono messi alle costole di Del Giudice, e due altri in borghese gli furono messi nella portineria di casa. E i fascisti cominciarono a far dimostrazione sotto le sue finestre: "Viva Dumini! Viva Volpi! Morte ai nemici di Mussolini! " Poi vennero le strisce stampate: " Chi tocca il Duce avrà piombo." E altre scritte sui muri del palazzo di giustizia. E i gior– nali fascisti, tra i quali il piu facinoroso era L'Impero, moltiplicavano le minacce: "È inutile alludere, piu o meno velatamente, a Mussolini per il delitto Matteotti. Il Duce, salvatore della patria, non si tocca. Il fascismo non lo permetterà mai a nessun costo... Chi tocca il Duce sarà polverizzato ... Sa– rebbe la notte di San Bartolomeo. " I fascisti riprendevano le spedizioni puni– tive. E la polizia stava a guardare. Del Giudice e Tancredi erano avvisati, cioè mezzo salvati. Via facendo il procuratore generale Crisafulli, a cui, come al suo supe– riore, Tancredi aveva l'obbligo di riferire i risultati dell'istruttoria, disse al_ Del Giudice che bisognava dichiarare la incompetenza della magistratura e mandare gli atti al Senato. Del Giudice protestò che il Senato era "per quattro quinti" asservito a Mussolini. La magistratura, dichiarando la propria incom– petenza, avrebbe fatto il gioco di costui. L'istruttoria doveva continuare finché non fossero accertate tutte le responsabilità. Solo allora si sarebbe visto il da fare. Nel novembre 1924 la istruttoria era al completo: 44 grossi volumi! Era ora di concludere ... Proprio in questo momento il lavoro di Del Giudice e Tancredi fu arrestato! Nel dicembre Giuseppe Donati, militante nel partito popolare e direttore del quotidiano Il Popolo, presentò al presidente del Senato una denuncia, in cui accusava De Bono di complicità nel delitto Matteotti: il Senato, costi– tuito in alta corte di giustizia, avrebbe giudicato su quella accusa. Io mi trovo per caso a poter dare qualche particolare su questo avveni– mento. Ero a Roma, quando i quotidiani fascisti pubblicarono il testo della denuncia di Donati. Come mai, mi domandai, il documento era pubblicato dai quotidiani fascisti e non dal Popolo diretto dallo stesso Donati? Andai alla redazione del Popolo. Donati, seduto innanzi al suo tavolo, taceva, mentre intorno a lui tutti vociavano. Non c'era modo di cavar nulla da tanto disordine. Dopo aver cercato inutilmente di capire quel che succedeva, dissi a Donati: " Andiamo a colazione. " Lo presi a braccetto e me lo portai via. Quando fummo soli, nìi disse che era sua intenzione di presentare la denuncia al Senato, e ne aveva steso il testo, ma questo non era definitivo; lui lo aveva lasciat_ola sera prima nel cassetto di redazione; nella notte il documento era stato trafugato e dato ai giornali fedeli al regime. Lui non aveva fiducia né nel giudice istruttore, né nel pubblico ministero. Costoro non avrebbero mai consentito che fosse fatto il nome di Mussolini. Si andava verso una assolu– zione generale in camera di consiglio. Perciò riteneva necessario che almeno il caso personale di De Bono fosse discusso pubblicamente dal Senato conver cato in alta corte di giustizia. BiblotecaGino Bianco

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