Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Il diritto di uccidere vani. Finalmente, nel marzo 1926, mi fu presentato il detenuto Ermini. Senza esitare riconobbi in lui il primo che si era presentato nella camera con le due rivoltelle in pugno. Durante il confronto, l'Ermini era assistito dall'avvocato Meschiari e da alcuni testimoni. Io non ero riuscita a trovare un avvocato. L'Ermini, quando si vide riconosciuto, si mise a piangere e a scongiurare che era innocente, e l'on. Meschiari, approfittando di un mo– mentaneo mio smarrimento, insisteva a dire che non poteva esser stato lui perché pian– geva. Allora io, scattando, lo presi per la giacca e gli gridai: " Chi c'era a letto con mio marito quella notte? Lei forse? " L'avvocato allora si tacque, e poiché l'Ermini non vo– leva firmare il verbale, gli disse: " Firma, perché se credevo cos1 non ci venivo. Per questo starò male tre giorni. " Nel congedarmi, dissi che desideravo. una cosa sola - lasciare l'Italia. Narbona non c'entrava niente nell'assassinio di Pilati. Il giudice che ave– va incoraggiato la signora Pilati a commettere l'errore di identificazione sa– peva quello che faceva. Questo errore di riconoscimento fu usato dalla sezione di accusa per suggerire che le identificazioni fatte dalla donna " non potevano valere come sicure prove. " Solo al processo la signora Pilati vide il vero assassmo. Entrando nell'aula, vidi nella gabbia degli imputati un uomo che, appena mi vide, si copd la faccia con le mani. Dapprima pensai fosse l'Ermini, ma piu tardi, dalla faccia e dagli occhi, lo riconobbi per l'uomo che aveva sparato. Era il Carcacci, che dopo essere stato nascosto per un pezzo, si era costituito due mesi prima del processo, sentendosi si– curo dell'assoluzione. Ma i giudici e la polizia, inducendo la donna a compiere un errore di identificazione, avevano raggiunto il loro scopo di mettere in dubbio tutte le sue identificazioni. Cesare Rossi, che dal novembre I922 al giugno I924 fu capo ufficio stampa di Mussolini, rivela uno degli espedienti che venivano spesso usati per garantire l'impunità a coloro che avevano compiuto violenze "non auto– rizzate": Quando si trovava al cospetto di delitti che turbavano la pubblica opinione (De Bono) faceva arrestare qualche fascista che entrasse nel delitto come i soliti cavoli a merenda; ne conseguiva che di H a poco l'arrestato-compare, dimostrato il proprio alibi, veniva scar– cerato e l'azione penale cadeva nel nulla. Tutto ciò era facile grazie al cumulo delle cari– che che ricopriva il sen. De Bono, direttore generale di P.S. e comandante in capo della M.V.S.N. ( ...) Dopo l'aggressione dell'on. Amendola, l'on. Mussolini aveva finito per di– vertirsi un mondo sulla sorte delle indagini. 60 Il metodo non fu inventato da De Bono. Già nel I92I, Luigi Fabbri scriveva: Uno dei sistemi della polizia, per salvare i fascisti imputati di reati gravi, che tur– bano la pubblica opinione, è questo: si arrestano sotto l'impressione del fatto dei fascisti, ma, di deliberato proposito, proprio quelli che non c'entrano affatto e possono provare la loro innocenza. Cos1 piu tardi, quando l'opinione pubblica lavorata dai giornali non pro• testa piu, l'autorità giudiziaria può mettere senza scrupolo in libertà gli innocenti. E i rei son salvi. 61 80 Appendice A, par. 8, alla fine del presente volume. 111 La controrivolitzione preventiva, cit., p. 38. Bibloteca Gino Bianco I8I

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=