Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Il diritto di uccidere mia madre, né il ricordo dei miei bambini, se non ad accrescere vieppiu il furore di quegli energumeni. Fui anche perquisito (...). Finalmente parvero stancarsi (...). Telefonarono in questura, ed, in attesa che venisse un agente, mi si avvicinò un tale con un catino e una spugna cercando di cancellare le macchie di sangue che imbrattavano la mia giac– ca. (...) Mi avvertirono che sarei stato pedinato e che v'era gente pronta a farmi la pelle. Intanto giungeva un agente di questura, a cui mi consegnarono, non senza avergli fatto constatare che io ero incolume ( I) e che all'infuori di qualche ceffone, nessun male avevo ricevuto! Osservai qualche cosa di molto grave nello sguardo di quel brav'uomo (...); ma di questo sguardo quasi tragico ebbi la spiegazione solo quando, a casa mia, guardan– domi allo specchio, vidi impresso sul mio povero volto il marehio del tradimento e la sentenza di morte: due strisce ad angolo sulla fronte, una striscia su ciascuna gota, e un'altra sotto il mento. All'entrata della sede del fascio fui di nuovo assalito da una tren– tina di energumeni, i quali probabilmente mi avrebbero finito a colpi di nerbo o in altro modo (fu sparato anche un colpo di rivoltella), se l'intervento provvidenziale del mio figliolo, il quale come un bel lioncello si scagliò contro gli assalitori del padre sul mo– mento in cui stava per essere accoppato, non avesse riversato su di sé l'ira loro. Fu anche lui colpito, malmenato, si che giacque come morto. Ci ritrovammo in Piazza Giudici, e ci avviammo per i Lungarni, veramente illudendoci che i nostri persecutori ci avrebbero lasciati in pace. Infatti al Ponte Santa Trinita fummo ancora una volta assaliti, e certa– mente non saremmo usciti vivi dalle loro mani, se non fosse stato il provvidenziale inter– vento di un colonnello e di due carabinieri, ai quali l'ufficiale (...) ordinò di accompa– gnarmi a casa (...). Tra gli assalitori del Ponte Santa Trinita, il mio figliolo riconobbe un tale dall'aspetto losco, il quale si era trattenuto con altri due individui della stessa risma, accennando a qualcuno che doveva uscire tra poco, e doveva essere finito. 6 Salvadori incaricò l'avvocato Tempestini di portare la cosa in tribu– nale. L'avvocato lo consigliò energicamente di fuggirsene alla zitta da Firenze. Qualche giorno dopo - scrive Salvadori in un resoconto in data 27 agosto 1927, che ho qui davanti - il 6 aprile, una mia conoscenza, il Colonnello Pizzarello, che era un fascista, mi raccomandò di cercar rifugio all'estero. "Nessuno può rispondere della sua vita - gli avevano detto al Fascio. Ogni fascista si può considerare autorizzato a ucci– derlo. " Una sera il mio padrone di casa, un fascista, venne a trovarmi molto preoccupato. Gli avevano detto che esisteva uno speciale triumvirato, il quale segretamente emetteva sentenze di morte, e che " ci sarebbero stati dei guai per me. " Un altro amico, un popo– lare, mi raccomandò di mettermi in salvo, e di farlo assolutamente alla zitta, perché se fossi partito dalla stazione, certamente sarei stato riconosciuto e bastonato a morte. Ero prigioniero in casa mia, che era vigilata, e i membri della mia famiglia erano pedinati. Una sera mia moglie dovette rifugiarsi in casa di amici. Per porre fine a questa vita intol– lerabile la sera dell'11 aprile partii con mio figlio per la Svizzera. Speravo che il proce– dimento legale avrebbe seguito il suo corso. Non fu cosi. Un giorno, prima che io partissi, mia moglie andò a trovare Tempestini al suo studio. Lo tr0vò in uno stato di agitazione, quasi al parossismo, perché aveva appena saputo che il suo amico e collega, il deputato Frontini, era stato aggredito nella sua abitazione. Per alcuni mesi non potei saper niente dal mio avvocato; le mie lettere rimanevano senza risposta. Dopo l'assassinio di Matteotti (giugno 1924) e in seguito al mio articolo sul Mondo del 2 luglio 1924, la magistratura cominciò a muoversi. Mio figlio ed io fummo interrogati in .Svizzera per procura del pub– blico ministero di Firenze. I due fascisti, Nenciolini e Fantozzi, che nella mia deposizione avevo accusato, vennero convocati dal giudice istruttore di Firenze. Non avendo notizie del mio legale, mandai un amico fidato, egli stesso avvocato, a Firenze, per accertarsi di quanto succedeva. Mi mandò un resoconto il 19 ottobre 1924. Tempestini era stato mi- 8 Il racconto di Salvadori fu pubblicato nel "Mondo, " 2 luglio 1924. Una' 'versione piu concisa apparve in "New Statesman, " 12 aprile 1924. 1 57 Bibloteca Gino Bianco

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