Gaetano Salvemini - Scritti sulla scuola

L'organizzuzione degli insegnanti e la scuola italiana all'inizio del secolo Egli era parte cosciente e attiva. Tutto quanto le sezioni della Federazione o i soci isolati gli mandavano o pubblicavano - proposte, consigli, proteste, rimproveri - leggeva con la massima cura, ripensava, criticava, classificava. Prima di fissare la sua opinione, non mancava di consultare gli amici piu fidati e le persone piu addentro nella vita dell'organizzazione. Non appena una questione gli pareva a sufficienza discussa e approfondita dai piu, formulava una prima proposta concreta e incanalava intorno ad essa la discussione definitiva. Quasi sempre la probità, l'equilibrio, la lucidità che presiedevano ai suoi giudizi, facevano si che alla sua proposta finisse con aderire o prima o poi spontanea la grande maggioranza dei confederati; ma, privo com'era di quell'amor proprio cieco e testardo, che i piu confondono con la coerenza, Egli era sempre pronto a rivedere, a correggere, magari ad abbandonare la prima opinione se le critiche dei colleghi lo conducevano a riconoscervi dei difetti: non avrebbe però mai mutato un giudizio ch'Egli riteneva giusto, per compiacere alla maggioranza; non mai avrebbe consentito ad eseguire una deliberazione che non avesse ottenuta anche la sanzione della sua coscienza: era uomo da dimettersi; da sottomettersi no. Quando finalmente la organizzazione aveva manifestata legalmente la propria volontà, non discuteva piu: eseguiva con mano leale e ferma: le iniziative concordi col volere collettivo, docilmente secondava; altre abilmente correggeva; le altre energicamente soffocava prima che divenissero pericolose. E appena una posizione era conquistata, subito ne prendeva le mosse per una conquista ulteriore. Tutto questo richiedeva da lui una vigilanza perenne, perché nessun elemento di giudizio gli sfuggisse; una enorme capacità di lavoro per tener dietro a tutti i fatti; uno sforzo continuo per criticare e frenare e dominare gli altri e se stesso. Oramai in casa mia è un andare e venire continuo. Quando viene un collega, lo faccio sempre lavorare un po', e si piegano volentieri. Ma è un affar serio, ed io quasi ci perdo la testa... Tutti i giorni mi vengono da 10 a 30 o 40 lettere. Debbo aprirle, leggerle e protocollarle; distribuirle nelle buste varie secondo l'argomento. Spesso debbo rispondere, o scrivere a molte sezioni per calmare i loro bollenti spiriti, . a deputati. E poi, se debbo essere calmo e tranquillo, ho bisogno anche del necessario riposo, perché se no la calma e la serenità dove se ne vanno? Ho bisogno di leggere i giornali. Aggiungi poi comizi di qua e di là; per qui una lettera, per là un telegramma; ora un discorso; debbo anche talvolta viaggiare, e ogni volta torno stanco morto. Dappertutto mi vorrebbero presente, e debbo scrivere che non vengo, che non posso, e perché. Pubblico il Bollettino una volta al mese; ma bisogna vedere che lavoro implica! Ho le adunanze settimanali da preparare, ho da eseguire quello che s'è deliberato; ho da leggere i ricorsi; ho da curare una quantità di cose disparatissime. E v1 sono molti lavori che non posso mica affibbiare ad altri! Primo effetto di una cosi intensa fatica - la quale prolungata, ahimè, per tre anni doveva fiaccare la sua fibra e predisporlo debole alla malattia che lo uccise - fu l'abbandono degli studi scientifici. Per uno, anzi, già cominciato a stampare e non potuto continuare, dové pagare una di128 BibliotecaGino Bianco

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