Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Lettera a un amico siciliano zioni - alla quale io attribuisco, oltre che ai fattori naturali sfavorevoli, la responsabilità per le condizioni del "popolo meridionale." Ella ritiene che le condizioni economiche del Mezzogiorno erano arre– trate in partenza nel 1860, e lo sfruttamento settentrionale è cresciuto in in– tensità da allora in poi. D'accordo. Ma non c'è condizione sventurata, che non ·possa essere migliorata, almeno entro certi limiti, dalla intelligenza e volontà dell'uomo. Nell'Italia meridionale, come in qualunque ·altro paese del mondo, quella intelligenza e volontà non si possono trovare nelle classi incolte. Queste possono dare punti di appoggio, piu o meno consapevoli e · coerenti, non azioni metodiche e coordinate. Non tutti i meridionali vivono nella miseria e nello squallore. Ve ne sono che fanno le scuole secondarie e arrivano all'università. Spetterebbe a costoro inquadrare le moltitudini per farne forze rinnovatrici. Lasciamo, dunque, stare "il popolo meridionale." Parliamo di "piccola borghesia intellettuale meridionale." I capitalisti (e proletari) del Nord sfruttano la inferiorità meridionale: bisogna dirlo e ripeterlo. Ma c'è anche una responsabilità della piccola bor– ghesia intellettuale meridionale. Di questa responsabilità i piccoli borghesi meridionali amano rimanere ignoranti: Trovano comodo prendersela coi settentrionali. Ebbene quella responsabilità noi, m½ridionali dobbiamo met– terla. in luce, sempre. Bisogna impedire che i meridionali dimentichino se stessi per non far altro che sbraitare contro i settentrionali. Ella dice che è necessario "rinnovare l'assetto sociale meridionale." Ma chi deve rinnovarlo? Il rinnovamento dovrebbe venire dai meridionali stessi. Una minoranza dovrebbe emergere e mettersi a capo di un rinnova– mento. Ma se non emerge dalla classe, a cui Lei ed io apparteniamo, don- de deve emergere? · Ella ritiene che il Mezzogiorno d'Italia stia rinascendo grazie alla stra– da marittima Gibilterra-Suez. Ahimè, questa strada fu aperta nel 1869. La chiamarono "la grande via delle genti," e ne aspettavano la rinascita del– l'I~alia in genere e del Mezzogiorno in specie. Non mi pare che dal 1869 al 1952, o giu di H, quella strada abbia aiutato molto il Mezzogiorno d'Ita– lia a risorgere! Era certo una condizione favorevole. Ma le migliori con– dizioni ambientali non servono a niente, se mancano la intelligenza e la volontà per utilizzarle. La piccola borghesia intellettuale meridionale non ebbe mai intelligenza né volontà per profittare di nessuna opportunità. Ai meridionali bisogna ripetere che "i nemici, gli stranieri non son lungi ma son qui," cioè non a Milano, ma a Napoli, Cagliari, Palermo, . Bari. Se non si comincia dal lottare contro i nemici del Sud, è inutile pro– testare contro gli stranieri del Nord: perché questi non potrebbero far nulla, se non avessero la complicità di quelli. Giolitti - Ella scrive - venne nel Mezzogiorno a fabbricarsi gli ascari. Non si aspetti da me che io prenda le difese di Giolitti. Ma, di grazia, crede Ella che Giolitti, gli ascan non se li sarebbe fabbricati anche 647 BibliotecaGino Bianco

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