Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

l socialisti meridionali Col riformismo sociale, abbiamo sperperati tre anni, abbiamo sconquas– sato il partito, non abbiam conquistato nulla né per noi né per altri. Col riformismo politico, ci sarebbe facile riacquistare in parte il tempo perduto, saneremmo in parte la crisi del partito socialista, lavoreremmo intorno a riforme di utilità generale, indiscutibile, immediata: cioè faremmo del riformismo sul serio. · E - mi permetta Turati di capovolgere le sue parole - col rifor– mismo politico il proletariato piu evoluto avrà fatto un viaggio e due ser– v1z1: conquistando per tutti, avrà conquistato per sé. [Da "La Battaglia," di Palermo, maggio 1904, firmato: RERUM SCRIPToR.J Questo scritto provocò nel Tempo di Milano, 22 aprile 1904, un arti– colo di lvanoe Bonomi, che si può considerar.e come un documento carat– teristico per il pensiero dei socialisti riformisti settentrionali italiani del primo decennio di questo secolo. 3 Il nostro valoroso amico Tre Stelle, m questo brano avulso da un suo articolo pubblicato nella Battaglia di Palermo, ci sembra piu il psicologo che scruta le ra– gioni oggettive della disfatta, che non il critico che giudica gli errori dei condottieri. Certo, i condottieri sono in errore tutte le volte che ignorano la psicologia della massa, ma chi conduce - e che sarebbe mai il condurre se non derivasse da una volontà subbiettiva? - ha pure un suo disegno che può urtare la psicologia della massa, la quale, appunto perché istintivamente percorre altre vie, ha bisogno di venire condotta. Ora, quale era il disegno dei riformisti e quale la psicologia della massa dopo il congresso di Imola? Tre Stelle ce li fa intendere con sufficiente esattezza: la massa, dopo l'eccidio di Candela e dopo le prime sconfitte nei conflitti economici, pretendeva l'antiministerialismo di vecchia maniera, molto rude, molto semplice, molto rumoroso; Turati e Bissolati invece rimanevano "legati alla formala d'Imola," la quale - giova ricordarlo - non vincolava il partito ad un ministerialismo coute que coute, ma gli conferiva un senso realistico e una facoltà di adattamento che prima non aveva. Donde il dissidio. Ma dissidio voluto, meditato, provocato. Il riformismo dopo Imola, pur passando all'opposizione, non doveva e non poteva dire che esso aveva er– rato, che l'appoggio al gabinetto Zanardelli era stato una colossale illusione, che tutti i Governi borghesi si rassomigliano e che gli uomini, che aveva difesi un anno prima dall'attacco violento dei reazionari, erano d'un tratto diventati dei massacratori feroci. Non lo doveva e non lo poteva, non solo per coerenza alle proprie idee, ma anche per una convinzione profonda nella bontà del proprio metodo, il quale consente le opposizioni piu fiere ma non le ingiurie ingiustificate, le accuse non sorrette da prove, gli attacchi senza tregua e senza ragione. Con ciò non vogliamo dire che dopo Imola l'azione dei riformisti sia stata impec– cabile. Deficienze, stonature, oscillazioni, esitazioni si potranno rinvenire facilmente nell'opera complessa di un partito, e l'amico Tre Stelle, che è osservatore acutissimo, potrà raccoglierle ad ammonimento nostro e anche suo. Ma quello che noi rifiutiamo di ammettere è che il nostro antiministeria.lismo dovesse, dopo Imola, accontentare i 3 [E.] 3\9 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=