Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Appendici orologio, una cassa di liquori a Natale o a Pasqua. Un ispettore intermedio è un po' , piu costoso: l'azienda pone a sua disposizione un'automobile o realiz'za qualche lavoro per lui, senza fargli spendere un sol1o, Quanto piu alto è il livello dell'ispettore, tanto piu elev.ato è il. prezzo." Uno di tali "esperti" era il generale Cavallero. Alla fine della guerra 1915-18, il generale Cavallero, trovando la sua paga nell'esercito insufficiente ai suoi bisogni, offri i suoi servizi alla ditta Pirell-i, che ha il monopolio· italiano della gomma, e che ha re– lazioni con molti uffici governativi. Nel 1925 Mussolini fece Cavallero sottosegretario al Ministero della guerra, essendo egli stesso ministro. Nel novembre 1928, il generale Cavallero lasciò nuovamente il servizio pubblico per la ditta Ansaldo di Genova, che costruisce navi per la marina italiana. Mentre egl,i era direttore dell'Ansaldo venne fatta una scoperta sorprendente. Due incrociatori da diecimila tonnellate, il "Trento" e il "Trieste," costruiti uno dalla Società Ansaldo e l'altro dalla Società Orlando di Livorno, erano armati di corazze che non furono trovate adatte alla prova dello scafo. I campioni della corazzatura, che erano stati provati dagli esperti navali erano risultati, soddisfacenti, ma la corazzatura adoperata per le navi non corrispondeva ai camptoni. L'identità dei marchi sui campioni era stata alterata da ambedue le ditte durante la prova della fonderia. Non solo il generale Cavallero come direttore della Società Ansaldo, ma il dirèttore della Società Orlando con molti altri dirigenti avrebbero dovuto essere denun– ciati. Ma il padre dell'attuale ministro degli Esteri, Conte Ciano, era cointeressato alla Società Orlando, ed era altres.i uno dei soci della Società Ansaldo. Anche essi avrebbero dovuto essere denunciati insieme al generale Cavallero. La cosa venne messa a tacere, ma non migliorò la qualità delle navi. È molto probabile che altri incrociatori italiani siano stati protetti con queste inutili corazze. Salvo queste circostanze sarebbe difficile capire perché l'incrociatore italiano "Barto– lomeo Colleoni" fu affondato al largo dell'isola di Creta nel luglio 1940 dall'incrntiatore anstraliano "Sidney," non appena questi aperse il fuoco. Ora possiamo sospettare per quale ragione le navi da battaglia italiane non si fecero vedere quando le navi da guerra britanniche bombardarono Genova nell'aprile 1941. Essendo state provviste di corazze dal generale Cavallero, si resero conto che il meglio che potessero fare era d'ostentare prudenza. L'elemento umano fu un altro fattore nel fallimento della marina fascista. Per quanto le costruzioni navali fossero frenate dalle difficoltà finanziarie, l'Accademia di Livorno sfornava un numero illimitato di sottotenenti di vascello. Ogni nave pren– deva ufficiali in soprannumero: ve n'erano cinque dove ne bastavano tre; otto dove ne bastavano cinque; trenta dove ne bastavano venti, mentre non era aumentata in propor– zione la ciurma. Gli ufficiali erano troppi. Sul "Colleoni," la prima nave perduta dal– l'Italia in guerra, vi erano 53 ufficiali e 95 sottufficiali su un totale di 500 uomini a bor– do - un ufficiale ogni dieci uomini invece del consueto uno ogni quaranta. La marina itaÌiana era una marina di ammiragli perché i suoi 40.000 uomini comprendevano 4.000 ufficiali, ottanta dei quali erano ammiragli. Ciò non rendeva piu facile la vita per la ciurma. Gli uomini nei posti di tiro, sui ponti, nelle sale macchine e nei depositi delle munizioni erano trattati come bestie. In tali condizioni di disciplina tirannica i marinai diventavano svogliati, senza alcun orgoglio del proprio mestiere. Dopo quattro anni di servizio ritornavano a terra quasi privi di ogni dignità. Quando i marinai furono ri– chiamati per la guerra erano riluttanti ad affrontare una stupida disciplina in aggiunta ai rischi del combattimento. Gli ufficiali si rendevano ben conto di questi sentimenti e anch'essi erano riluttanti a condurre contro il nemico uomini .ai quali non potevano imporre affetto e rispetto. Una flotta richiede una devozione alla nave pari all'affetto dell'uomo di terra per la città e per la casa per le quali combatte. Ciò non vuole dire che i marinai italiani siano codardi. Nel corso della prima guerra mondiale essi diedero una buona prova di sé. Essi sono capaci di mostrare coraggio cd abnegazione, l!e sono ben guidati, se vien concesso loro un trattamento dc- 786 Bibloteca Gino Bianco

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