Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Appendici ziato da Presidente del Tribunale Speciale (R. Vighi, Anteo Zamboni, Bologna, a cura di Mammolo Zamboni, 1946, pp. 10-11). Mammolo Zamboni nel settembre del 1947 mi disse che quella disputa gli fu ri– ferita dall'avvocato Mastellari, che a sua volta ne sarebbe stato informato da un funzio– nario della polizia, che aveva servito come segretario di Arpinati al Ministero degli in– terni. Trattandosi di un racconto, che sarebbe passato attraverso due intermediari prima di arrivare da Arpinati a Mammolo Zamboni, si possono avere dubbi sull'esattezza, se non dell'insieme, almeno dei .particolari. Stanno _ad ogni modo due fatti: a) Cristini cessò di occupare il posto di Presidente del Tribunale Speciale quando i Zamboni furono graziati. (Ma può darsi che si tratti di semplice coincidenza cronologica. La disputa Arpinati-MU1Ssolinipuò avere contribuito alla disgrazia, ma forse non ne fu causa né principale, né importante); e b) la grazia fu concessa nel 1932, cioè assai prima che tra– scorressero i 30 anni della condanna: essa dimostra che lo stesso Mussolini era persuaso che i condannati erano innocenti. Se Mammolo Zamboni e sua cognata erano innocenti, e se il colpo di revolver non fu sparato né da Ludovico né da Anteo Zamboni, chi lo sparò? Subito dopo l'avvenimento, si sparse in Italia· il sospetto che si trattasse di un at– tentato simulato. Bisognava varare la nuova legge, che ristabiliva la pena di morte e il domicilio coatto, e istituiva il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Il complotto Garibaldi in Francia doveva combinarsi con l'attentato di Bologna per scatenare in tutta l'Italia una ondata di violenza, che doveva aprire la via all'approvazione a tamburo bat– tente della nuova legislazione nella Camera e nel Senato. Il complotto Garibaldi falli. Ma l'attentato di Bologna bastò allo scopo. La idea dell'attentto simulato avrebbe base molto incerta, se tutto si riducesse a un sospetto. Ma c'è dell'altro. Per tutta l'Italia, e specie a Bologna, nei giorni precedenti l'attentato, circolò la voce che Mussolini sarebbe stato ucciso in occasione dei festeggiamenti bolognesi. Si precisavano persino i particolari del prossimo attentato. Si diceva che qualunque fosse stato l'esito dell'attentato, l'attentatore sarebbe stato ucciso a pugnalate. Mussolini nella deposizione fatta a Forli, disse: "Mi risulta che alcuni giorni prima, da un'automobile rimasta sconosciuta, erano stati lanciati manifesti intimidatori, che quasi preannunciavano l'attentato." La notizia del prossimo attentato arrivò fino al Veneto. Il Podestà fascista di un comunello nella provincia di Udine la comunicò "in tutti i suoi particolari" ad un funzionario della Milizia fascista. Il Procuratore del Re presso il Tribunale di Udine la comunicò il 25 ottobre al Procuratore Generale della provincia, e questi ne informò il Ministero degli interni il 26 ottobre (Sentenza di rinvio a giudizio del Zamboni, 23 agosto 1928). Quel sindaco fu arrestato, interrogato, liberato; ma nessuno si dette cura di seguire il metodo, che si usa sempre in questi casi: risalire da una fonte all'altra finché si arriva alla fonte prima dell'informazione. Non si volle arrivare a quella prima fonte. C'è dell'altro. Nella sentenza della Commissione istruttoria, che rinviò a giudizio gli accusati, si legge: "Non mancarono testi degni di fede, che deposero con particolari precisi, subito ~ dopo, in corso d'istruttoria, di aver notato individui, che prima o dopo il delitto, intervennero con lo sguardo, col sorriso, colla parola e con l'azione, per sor– reggere moralmente e materialmente l'attentatore [Anteo Zamboni], per adoperarsi a facilitare l'esecuzione del crimine, per procurargli la fuga ed infine per pugnalarlo ... Il teste Pingitore, avendo tentato di gettarsi sullo Zamboni prima dello sparo, ha dovuto fuggire, perché uno sconosciuto gli girava intorno e lo aveva minacciato con un pugnale ... Altri testi ebbero occasione di constatare degli individui colluttarsi poi in mezzo alla folla, che tratteneva un corresponsabile, e ad un certo momento anche concorrere a pugnalare il ritenuto attentatore." Inutile commentare quello sguardo, quel sorriso, quella parola e quell'azione, e la contraddizione fra il tentativo di facilitare la fuga del ragazzo e nello stesso tempo pugnalarlo. Si tratta di vere e proprie scempiaggini. Ma l'insieme di quelle testimonianze porta a ritenere che l'uomo in cappello floscio e in gabardina non era solo, e che furono i suoi compagni a pugnalare il ragazzo. Alcuni testimoni afferma- 736 BiblotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=