Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Le minoranze nazionali sotto il regime fascista austriaco assoggettò gl'italiani nella Venezia Giulia e nel Trentino. Noi le invitiamo a stringere la mano, che tendiamo loro fra~ernamente." Il 1° dicembre 1919, il re Vittorio Emanuele III, nell'inaugurare al nuova Ca– mera dei Deputati, fece la seguente dichiarazione: "Le nuove terre unite all'Italia creano nuovi problemi da risolvere. La nostra tradizione di libertà c'indicherà la via per la soluzione che si conformerà al massimo rispetto per le autonomie e le tradizioni locali." Dopo che il regime fascista sorse in Italia, gli agenti della propaganda sostennero che quelle dichiarazioni non erano serie: "A quelle dichiarazioni politiche non si può assolutamente attribuire la forza di accordi internazionali. Non furono il risultato di una convenzione tra le parti inte– ressate, G neppure costituirono una condizione per l'attribuzione all'Italia dei territori in questione. Le dichiarazioni sopra riferite rappresentano soltanto le opinioni e le af– fermazioni di singoli uomini di Stato e partiti in un particolare mo!Ilento, e non vin– colano i loro successori. " 1 I propagandisti si conformarono alla parola d'ordine data da Mussolini in un di– scorso del 3 marzo 1928, nel quale dichiarò che "non si riteneva menomamente vin– colato dalle assicurazioni verbali, e piu o meno vaghe, di uomini, i quali rappresen– tavano sistemi e governi inesorabilmente rovesciati dalla rivoluzione fascista." Dal pun– to di vista del diritto irtternazionale i propagandisti fascisti avevano ragione. Ma le questioni di giustizia e di lealtà non si trattano a base di protocolli diplomatici. Le promesse, se non furono fatte a nessun Governo straniero, furono fatte ai tedeschi e agli slavi dei territori annessi all'Italia. Non erano diplomaticamente obbligatorie. Ma ob– bligatorie erano per chi voleva assicurare il rispetto alla parola data dal Governo italia– no, e attenersi alle leggi della umanità, cose molto piu importanti dei trattati interna– zionali. Nel 1919 tutti in Italia presero sul serio quelle assicurazioni. Lo stesso Mussolini fece al pubblico italiano la se~uente lezione di buoni costumi: "Noi non siamo tra coloro che temono l'irredentismo. Certo, non avrà forme vio– lente, non sarà disintegratore e pericoloso, se l'Italia farà nei paesi dell'Alto Adige una politica sinceramente e lealmente democratica. Sin da questo momento bisogna dai giornali e dal Parlamento, dire ai tedeschi dell'Alto Adige, da oggi politicamente ita– liani, che l'Italia non ha intenzioni sopraffattrici o snazionalizzatrici, che rispetterà la lingua e i costumi, che accorderà le necessarie autonomie amminiùrative. Può essere che l'Italia non si faccia amare - sinché durano i vecchi uomini e i decrepiti sistemi - a cagione di errori o di incomprensioni, ma non si farà mai odiare per violenze o repressioni. Non è nel nostro temperamento." (PI., ll-IX-1919.) Nell'Alto Adige, il Governo italiano, attraverso gli atti delle autorità militari e ci– vili, fece del suo meglio nel 1919 e 1920 - cioè finché il movimento fascista non ca– povolse la situazione - per mantenere le promesse fatte al momento dell'annessione. Certo in quei due anni non mancarono attriti: i tedeschi della classe intellettuale che nell'Alto Adige, come ovunque, erano il serbatoio del sentimento e dell'esaltazione nazionale, era naturale che manifestassero il loro malcontento. Ed era anche naturale che di fronte a queste prove di avversione i funzionari italiani non conservassero sempre la dovuta equanimità. Ma la massa del popolo accettava il fatto compiuto, soddisfatto per la fine della gu~rra e della fame. E chi esamina spassionatamente i lamenti sollevati 1 VILLARI, The Expansion of Italy, pp. 127-28. 701 BiblotecaGino Bianc

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