Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Cala la tela Quando l'ordine fu ristabilito, lo spettro di Banco si rivolse agli assassini, parlando in lingua amarica che nessuno capiva. Poi il suo ama– rico fu tradotto: "Dove sono andate a finire le promesse che mi erano state fatte? " "Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio." "Posti dal- 1'aggressore di fronte al fatto compiuto, creeranno gli Stati il terribile pre– cedente di piegarsi davanti alla forza? " Allora cominciò la sfilata dei paesi che attraverso i loro delegati si piegavano alla forza. Blum apri la processione. Annunciò che la pace era "non solo la pace della Francia, ma la pace indivisibile dell'Europa e del mondo"; la Società delle Nazioni aveva subfto uno scacco non a causa di qualche difetto nel Patto, ma per "la tardiva, incerta e confusa applica– zione del Patto." Il suo sfoggio di eloquenza fin1 con l'omaggio alla buo– na volontà dimostrata dall'ultima nota italiana. Il delegato del Sud-Africa, tenendo soprattutto presente la minac– cia di un esercito indigeno che avrebbe potuto esser costituito in Abis– sinia, protestò contro cinquanta nazioni, guidate da tre fra le piu potenti del mondo, che si disponevano a dichiararsi impotenti a proteggere dalla distruzione la piu debole. "L'autorità della Società delle Nazioni sta per ridursi a zero." "L'Unione del Sud-Àfrica non può, senza protesta, sotto– scrivere ad una dichiarazione che distruggerà per generazioni ogni fiducia internazionale ed ogni speranza di attuare; la pace nel mondo." Poi il de– legato del Canada, un uomo nuovo che era succeduto al colpevole della sanzione sul petrolio (v. sopra, p. 533), annunciò ciò che tutti sapevano fin dal 18 giugno. Finora nessuno aveva osato proporre apertamente l'abolizione delle sanzioni. Questo fu il compito di Eden. Era addolorato, profondamente addolorato, infinitamente addolorato per il tragico fallimento della "Socie– tà" nel sostenere il Patto e salvare l'Etiopia. Ma che altro fare se non af– frontare apertamente i fatti? E qui una nuova edizione di quanto aveva detto nella Camera dei Comuni il 18 giugno. Qui entrò in scena Litvinov. Ora che l'Imperatore e il Governo d'E– tiopia avevano abbandonato il loro territorio, risultava fuori dubbio che la restaurazione dell'indipendenza etiopica si sarebbe potuta ottenere soltan– to mediante sanzioni di natura militare. Ma nessuno era disposto a soste– nere l'urto di uno scontro militare. In vista di queste circostanze, l'ulte– riore applicazione di sanzioni economiche era inutile. "Ciascuno di noi deve sentire la sua parte di responsabilità e di colpa, che non è identica Confederazione svizzera, ma solo dal cantone di Ginevra, per la sola durata della sessione. Il ministro fascista per la Stampa e la Propaganda mandò loro "un messaggio personale di solida– rietà": erano stati imprigionati "come malfattori per non aver represso il loro irrefrenabile di– sgusto di fronte al grave insulto fatto al loro paese, colpevole soltanto di portare la propria mil– lenaria civiltà in un paese di schiavitu e di barbarie." Gayda protestò che con l'arresto di quei gentiluomini "l'Europa si era disonorata"; "Ginevra avrebbe dovuto sapere che le grida di protesta dei giornalisti erano quelle di 45 milioni d'italiani." Due mesi dopo, Avenol rimandò loro le tessere (ROBERT DELL, The Geneva Racket, p. 134). Era rispettoso della li– bertà di stampa. 643 Bibloteca Gino Bianco

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