Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Preludio alla seconda guerra mondiale era m1ss10nedi civiltà in armonia con i princip1 del Patto della Società: "equo trattamento delle popolazioni indigene, promovendo il loro benes– sere morale e materiale e il loro progresso sociale"; "pieno rispetto per le credenze religiose"; "garantito il libero uso della lingua originale"; "sop– pressa la schiavitu e il lavoro forzato"; "le tasse usate esclusivamente per far fronte alle esigenze locali." Le minoranze etniche tedesche e jugosla– ve nel Tirolo meridionale e nell'Istria potevano spiegare il valore di tali promesse. Le sole promesse, che contavano, almeno fìno ad un certo pun– to, affermavano che l'Italia era disposta "ad accettare il principio che gl'indigeni non avrebbero dovuto essere costretti ad altri doveri militari all'infuori della polizia locale e della difesa territoriale," ed era pronta a prendere disposizioni "per garantire libertà di transito e di comunicazio– ni ed equo trattamento per il commercio di tutti i paesi." Su questo mare di latte e miele galleggiava la speranza che la Società delle Nazioni avreb– be "giudicato la situazione ora esistente in Etiopia in uno spirito di lea– le comprensione,'' e la dichiarazione che il Governo italiano era "pronto a dare ancora una volta ( !) la sua volonterosa e pratica cooperazione alla Società delle Nazioni per raggiungere una soluzione dei grandi problemi dai quali dipendeva l'avvenire dell'Europa e del mondo." La Società delle Nazioni a sua volta doveva rendersi conto dell"' anormale situazione in cui era stata posta l'Italia, e delle necessità che fossero immediatamente rimossi quegli ostacoli che si erano opposti e si opponevano alla coope– razione internazionale." Disgraziatamente per la cooperazione internazionale, la fìne dell'Etio– pia non era stata ancora ufficialmente certificata dall'Assemblea. Di con– seguenza la Società delle Nazioni era ancora obbligata a supporre che l'E– tiopia fosse viva e quindi socia della Società. Inoltre Hailé Selassié era andato a Ginevra con l'espresso scopo di parlare personalmente ali'Assem– blea. Nella riunione, in cui si preparava il lavoro dell'Assemblea, il delega– to svizzero (v. sopra, p. 489) propose che si rifiutasse ascolto allo sgra– dito intruso. Sarebbe stato precipitare in un abisso d'ignominia. La pro– posta fu respinta. Il Presidente dell'Assemblea era Monsieur van Zeeland (v. sopra, p. 536). La faccenda non avrebbe potuto essere affidata a mani piu sicure. Quando Hailé Selassié si alzò per parlare, un gruppo di giornalisti italiani, nella tribuna della stampa, proruppe - certo non di propria ini– ziativa - in un concerto di fischi e zittii. Van Zeeland diede loro pie– na libertà, finché la polizia, agendo di propria iniziativa, li scacciò dalla tribuna. 9 ' I loro nomi meritano di essere tramandati alla storia. Erano Caiani e Morrcale del "Po– polo d'Italia" (quest'ultimo era stato attaché per la Stampa all'ambasciata italiana di Vienna); Signorelli e Toretti de "La Stampa"; Engely del "Lavoro Fascista"; e Marchini dell"' Agenzia Stefani" (D. 1-IT. 2. VII). Dopo aver passato una notte in prigione, furono espulsi, non dalla 642 Bibloteca Gino Bianco

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