Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Cala la tela piu riserve egli accumulava tanto piu Baldwin e Eden avevano rag10ne di affermare che l'embargo sul petrolio era diventato inutile. -··n Duce aveva tutte le ragioni di essere contento. Ma noi sappiamo che la sua arroganza cresceva ad ogni nuovo successo. Perciò richiamò l'intera delegazione italiana da Ginev.ra, e fece annunciare che l'Italia si riservava di decidere se abbandonare o no la Società delle Nazioni. Roosevelt lo incoraggiava. Quando Mussolini presentò alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni il decreto che proclamava l'annessione dell'Abis– sinia, Mr. Kirk, l'incaricato d'affari americano, era in evidenza nella tri– buna diplomatica insieme con gli ambasciatori tedesco e giapponese (LT. 15-V). E l'ambasciatore americano a Roma, Mr. Breckenridge Long, che si trovava a Washington in quel momento, in un'intervista concessa al cor– rispondente da Washington di un giornale austriaco, disse: La campagna di Abissinia è finita e cosf è pure virtualmente finita la battaglia diplomatica a Ginevra. Il fascismo ha imposto la sua volontà. Non esistono fattori di alcun genere capaci di spezzare la sua volontà. Questa vittoria ha valore come nuova. garanzia di pace per l'Europa. 2 Egli "si congratulò pure con Rosso (l'ambasciatore italiano a Washing– ton) per la vittoria italiana tanto nel campo militare quanto in quello di– plomatico. Gli disse che aveva richiamato sulla situazione italiana l'atten– zione del Presidente e del Segretario di Stato, sottolineando la meraviglio– sa solidarietà dell'intera nazione" (V1LLARI, pp. 269-270). Le elezioni presi– denziali dovevano avere luogo in ottobre, e Roosevelt, ora che Italia e Etiopia non erano piu in guerra, poteva cessare di predicare pace al mon– do intero e rivolgere la sua attenzione esclusivamente al problema di gua– dagnarsi la totalità dei voti italo-americani. Il distacco di Mussolini dalla Società delle Nazioni non sarebbe stato una gran perdita per quell'istituzione, dato il passato del Duce. Ma gli ami– ci di Mussolini in Francia si preoccupavano molto di ciò che avrebbe po– tuto accadere se il Duce avesse eseguito la sua. minaccia. Il Temps scris– se: "Nessuno potrebbe esagerare le conseguenze del ritiro dell'Italia dalla Società. Esso significherebbe il sicuro slittamento della nazione italiana verso la Germania" (13-V). Il I ournal des Débats (13-V) ammon1 i let– tori che "l'Italia non sarebbe forse stata la sola ad andarsene; questo avrebbe 2 Quest'intervista fu segnalata dal Morning Post (13-V) che non citò il giornale austriaco. Non è quindi possibile verificare le esatte parole dell'ambasciatore. Ma la sua ammirazione per Mussolini era ben nota. Il 6 novembre 1936 egli partecipò ad un pranzo in onore di Suvich, che era stato sottosegretario al Ministero degli esteri italiano durante la guerra etiopica ed ora era venuto a Washington come ambasciatore. A quel pranzo Myron Taylor, c)1e nel 1939 doveva andare al Vaticano quale "rappresentante personale" di Roosevelt, dichiarò che nessuno poteva mettere in dubbio il successo del nuovo Impero italiano, il quale si era assunte le proprie responsabilità "quale guardiano di una nazione straniera retrograda, di dieci milioni di anime." Suvich annun– ciò che Mussolini poteva dire che "il Fascismo è una vera democrazia." Long non disse niente né sull'uno né sull'altro argomento - o quanto meno il New York Times (6-XI-36) non riferi alcuna dichiarazione sua su questo argomento. Ma col partecipare al pranzo egli dimostrò che il cuore del Dipartimento di Stato americano era al giusto posto. 633 Bibloteca Gino Bianco

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