Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Preludio alla seconda guerra mondiale cui la lettera di Mussolini del 25 dicembre poteva servire di base. Perciò rispose (23 gennaio 1936) a Mussolini, ammettendo di avere usato l'e– spressione "mano libera" in "una amichevole conversazione a Palazzo Far– nese, ma con questo non aveva mai dato la sua adesione a una guerra in Etiopia": "la desistenza francese in Etiopia aveva aperto tutto quel paese all'Italia, salvo che nella zona della ferrovia di Gibuti"; nulla avrebbe impedito all'Italia di ottenere una libera cooperazione con l'Etiopia con mezzi pacifici, assicurando il predominio italiano in tutti i campi. 1 Laval fingeva di non capire che con la sua "desistenza" in Etiopia egli aveva perduto ogni diritto di distinguere fra attività pacifiche e attività guerrie– re italiane. Lasciando il Quai d'Orsay disse: "Mussolini è un bastardo e uno sporco rivendugliolo. 112 Lavai era buon conoscitore. Lavai era ciò che in Italia si direbbe "un ingegnaccio," cioè, un uomo tutt'altro che stupido, ma arruffone senza chiarezza di spinto, troppo confidente nella propria abilità, ed incapace di far fronte a problemi troppo complessi. La sua furberia contadinesca non lo portava piu in là del puro e semplice mestiere di commerciante di cavalli. Il suo errore - e quello di tutti i francesi che assecondarono la sua politica - consisté nel t VILLARI, Storia diplomatica, p. 237. 2 Non è possibile sapere se la lettera di Lavai del 22 dicembre 1935, la risposta di Mus– solini del 24 dicembre (vedi p. 582), e la ritorsione di Laval del 23 gennaio 1936, sono state usate onestamente dall'agente di propaganda fascista, Villari. Pertinax, che assai pro– babilmente ebbe questa informazione dal signor Leger, riferisce che Mussolini (sembrerebbe nella lettera del 25 dicembre) accusò Lavai di non aver mantenuto la promessa, se non di aiutare posi– tivamente, almeno di non impedire in nessun modo la politica italiana nell'Africa Orientale. Il Duce pretendeva che l'aiuto avrebbe dovuto essere "diretto, rapido e drastico," e che Lavai non aveva eseguito l'accordo di Roma. Lavai voleva lasciare negli archivi qualche documento che lo scolpasse. Perciò ordinò a Leger di preparare una replica sulla base dei documenti che si trovavano al Quai d'Orsay. Fondandosi su quei documenti ufficiali, Lavai negava di avere mai fatto pro– messe verbali che oltrepassassero una nota da lui consegnata a Mussolini prima di lasciare Roma, nota che i funzionari francesi avevano formulata: in essa egli non aveva dato all'Italia che libertà di azione economica (PERTINAX, The Gravediggers, p. 158). MACARTNEY e CREMONA, Italy's Foreign and colonial Policy, 1914-1937, pp. 125-32, conobbero l'esistenza di queste lettere e affermarono che "si diceva che la corrispondenza confermasse la esat– tezza tecnica dell'asserzione fatta da Lavai." Lavai accennò a quella corrispondenza nel memoran– dum del novembre 1945, quando scrisse: "Colpe della corrispondenza che ebbe luogo dall'ottobre 1935 in poi, insieme coi testi uffi– ciali, furono raccolte in buste sigillate negli archivi del Quai d'Orsay, dove furono da me depositate quando mi dimisi dal Governo il 28 gennaio 1936. ~ evidente da quei documenti che le mie re– lazioni con Mussolini durante quell'intero periodo furono complesse, seminate di difficoltà, e a volte, piuttosto aspre." Il diplomatico italiano, Donosti (Mussolini e l'Europa, pp. 39-40) menziona la seconda lettera a Mussolini, e aggiunge che il secondo "riconobbe di malavoglia" che nelle conversa– zioni romane "nulla era stato detto su eventuali operazioni militari in Etiopia." Sembra dif– ficile che Mussolini abbia ammesso senza nessuna attenuazione un fatto di questo genere. In una conversazione col presente autore, Monsieur Leger ebbe la cortesia di raccontare che quando la risposta di Mussolini alla lettera di Laval arrivò, Leger disse a Laval che non era possibile al Governo francese di consentire senza protesta che rimanesse affermato, anche in una lettera privata, un fatto che era contrario a tutti i documenti ufficiali. Perciò fu steso, sotto le istruzioni di Leger, il testo di una lettera secondo i documenti. Lavai non approvò quel testo, e lo annacquò prima di inviarlo. Ma quel testo era cosi' ambiguo che Lavai dové mandarne un altro in cui la interpretazione di Mussolini era piu chiaramente respinta. Questi documenti, insieme con molti altri di particolare importanza, non furono bruciati nel maggio 1940 mentre i tedeschi si avvicinavano a Parigi. Furono mandati a Bordeaux. Qui furono consegnati al capitano di un piccolo battello che andava al Marocco. Durante il viaggio il capitano temendo di essere catturato dai tedeschi bruciò ogni cosa (H0PPEN0T, Un point d'histoire). Il regime post-fascista italiano pubblicherà questi e gli altri documenti della politica estera di Mussolini fra una decina di secoli. 596 I Biblo eca Gino Bianco

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