Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Bibl Preludio alla seconda guerra mondiale trionfi africani, De Bono scrive che egli considerava "pericolosi" quei "cal– colatori" che "non sentono la gioia del rischio. Meglio mille volte coloro che ci si buttano a capo fitto e magari ad occhi chiusi. lo, mi si permetta il vanto, nonostante i miei anni, appartengo a questa seconda categoria." "Io sono un convinto non dell'utilità, ma della necessità della cavalleria." "È poi mia convinzione che la fanteria debba e dovrà, di massima, mar– ciare a piedi. " 4 Nel 1937, per dimostrare che era ancora un uomo valido all'età di 71 anni, dette alla stampa una fotografia che lo mostrava in atto di galoppare con i pugni serrati contro il petto. Quest'uomo doveva fare avanzare 300.000 uomini in un territorio in cui tutto - a cominciare dall'acqua potabile - doveva essere importato, e 30.000 operai (che raggiunsero poi il numero di 50.000) seguivano le colonne in marcia per costruire strade che rendessero possibile l'arrivo di rinforzi. Mussolini lo diluviava con una tempesta di telegrammi che trattavano i dettagli anche minimi delle operazioni militari. Un giorno mandò piu di cento telegrammi, ognuno dei quali aveva "priorità assoluta su tutte le al– tre priorità assolute.'' Una volta dette ordine che cinquecento uomini fossero addetti a sbarazzare le banchine nel porto di Massaua dal materiale che lo ingombravano. Mentre il Duce si affondava in queste minuzie, le organizzazioni fasciste in Italia reclutavano operai per la costruzione delle strade in Africa, senza badare alle loro capacità. De Bono, una volta, si la– mentò di avere ricevuto dodici maestri elementari, quattro avvocati e nove orologiai. 5 D'altra parte, gli abissini, non si buttavano contro gli invasori, come aveva sperato Badoglio. Si erano ritirati, non solo di 18 miglia dal confine, come aveva annunciato Hailé Selassié il 25 settembre (v. sopra, p. 486) ma di cento miglia buone. Per colmo, una pioggia imprevedibile ai primi di novembre, trasformò in fango le strade sabbiose, intralciando i trasporti e complicando i rifornimenti (LT. 6-XI). Le battaglie vittoriose erano inaf– ferrabili come la fata morgana, per quanto Mussolini si aiutasse ad annun– ziare ai quattro venti notizie di trionfi, a cui nessuno credeva, meno i gonzi in Italia e all'estero. Invece di ammirazione per i suoi trionfi, vi fu grande indignazione fuori d'Italia contro le bombe che erano gettate da aeroplani italiani sulle misere capanne degl'indigeni indifesi, che si nascondevano alla meglio nei cespugli. Oggi (1949), dopo gli spietati bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, non di territori poveri e scarsamente popolati, ma di 4 DE BONO, op. cit., pp. 13, 69, 71. Molti fra i subordinati a De Bono non erano piu in– telligenti di lui. Il filo-mussoliniano Excelsior di Parigi (7-XI) pubblicò un'intervista con il ge– nerale comandante della 33a divisione. Ecco alcune osservazioni di questo rivale di Napoleone: "Quando io ho preso una decisione, mi turo gli orecchi con la cera di Ulisse. Da ogni parte (sic) odo grida di 'Prudenza.' Io mi tuffo nel piu fitto. Gli abissini cercano d'impegnarmi in battaglia lungo tutta la strada. Io rifiuto e passo avanti. I miei uomini mi seguono felici, riden– do delle cannonate." 5 Quando non è data altra indicazione da ora in poi, i documenti si trovano negli ar– ticoli di LALLI, La conquista dell'Etiopia. 538 Gino Bianco

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