Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Preludio alla seconda guerra mondiale La farsa del Comitato sarebbe forse durata anche piu a lungo, se la stagione delle piogge non fosse finita. In considerazione del fatto che le truppe italiane erano sul punto di attaccare, Hailé Selassié mobilitò le sue forze nel Tigré verso il Nord e nell'Ogaden verso il Sud, cioè nei territo– ri esposti ad una minaccia immediata. Al tempo stesso ordinò alle sue trup– pe di ritirarsi di 18 miglia da tutt'e due lè frontiere, e chiese che la So– cietà delle Nazioni mandasse per via aerea sui due fronti osservatori neu– trali (25 settembre). Il suo piano era di non impegnarsi in battaglia prima che gl'italiani fossero molto lontani dalle loro basi. Perciò ìl ritirare di 18 miglia le sue forze non costituiva nessuna perdita per lui. 9 Ma la sua do– manda alla Società era assurda. Sarebbe stato impossibile organizzare l'in– vio dei molti osservatori necessari per pattugliare i confini italo-etiopici a nord e a sud. Il Comitato dei Tredici decise solennemente di formare un altro comi– tato per esaminare le difficoltà che si opponevano alla richiesta di Hailé Selassié (27 settembre) e, poiché la prudenza non è mai troppa in questioni di tanta importanza, chiese ad Aloisi la sua opinione. Aloisi non si de– gnò di rispondere. La stampa italiana rispose invece (26 settembre) con l'af– fermazione che Hailé Selassié aveva dato "ordine a un milione di uomini adatti alle armi di riunirsi in bande vicino al confine." Mussolini fece la seguente dichiarazione in un'intervista al Petit /ournal: "Ho riflettuto bene; ho calcolato bene; ho ponderato ogni cosa" (27-IX). Hailé Selassié non firmò il decreto che ordinava la mobilitazione ge– nerale fino alla notte tra il 29 e il 30 settembre - qualunque sia il signi– ficato che può avere l'espressione mobilitazione generale in un paese piu grande della Francia, privo di strade, e in cui vaste masse non potevano rimanere su un terreno senza spogliarlo di ogni risorsa, e morirvi di fame, a meno di emigrare in qualche altra zona per ripetere lo stesso procedimen– to. Ecco dunque la prova dello "spirito bellicoso e aggressivo in Etiopia." Ecco "una minaccia diretta e immediata alle truppe italiane." L'Italia era costretta "a prendere le necessarie disposizioni per difendersi. 1110 Il Duce tele– grafò a De Bono il 29 settembre: difensiva," ma questo non rendeva in nessun modo la pos1z1one dell'Inghilterra diversa da quel– la degli altri soci della Società. Grandi "accettò questo fatto con un triste silenzio." Churchill consigliò prudenza. Grandi rispose che in Italia Mussolini aveva da fare coi suoi seguaci: "duecentomila uomini con fucili nelle mani"; "la dittatura di Mussolini era una dittatura po– polare, e l'essenza del suo successo era la sua forza." - In questa conversazione non si trova niente di quell'arroganza che Villari attribuisce a Grandi nei rapporti con Lloyd George e Hoare. 9 Mussolini fu informato da Parigi che Herriot, ministro nel Gabinetto Laval e contrario alla politica di costui, aveva consigliato Hailé Selassié a ritirare le sue truppe di alcune miglia al di là della frontiera "cos{ che l'aggressione italiana fosse evidente" (LALLI, La campagna d'Etiopia, 21-XII-47). ~ chiaro che i telegrammi da Parigi per Addis Abeba erano comunicati da Laval a Roma. 10 DE BoNo, La conquista, p. 125, afferma che Hailé Selassié emanò l'ordine di mobi– litazione generale il 26 luglio, e fa il seguente commento: "Non era possibile, se non con stu– diata mala fede, incolpare noi di provocazione. Né valeva offrirci che noi avevamo mandato uni– tà nazionali in colonia e avevamo mobilitato quelle indigene. Era questa una pura misura di difesa. Di fronte alle forze abissine infinitamente superiori alle nostre disponibili in colonia noi dovevamo premunirci e premunirci in tempo." Nessun'altra fonte dà la data del 26 luglio. Se 486 Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=