Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

• Preludio alla seconda guerra mondiale che l'Italia dovesse operare 1n Etiopia "entro la cormce della Società del– le Nazioni." "Che vi importano le esteriorità se ottenete la sostanza? Le esteriorità arrivano col tempo e si modellano sulle realtà. Se violate la for– ma inciamperete nella Società delle Nazioni, e l'intero affare può diventare malsicuro." Gamelin pensava sulla Società delle Nazioni quel che un per– sonaggio della Commedia francese pensava della legge: "Io le giro intor– no, perciò la rispetto." Badoglio convenne con Gamelin. "Ma il padrone non era lui" (Servir II, p. 173). Il padrone- badava piu a far rumore sulle esteriorità che ad ottenere la sostanza. Per spiegare la generale ostilità ·di Ginevra contro Mussolini, il suo regime e il paese di cui si supponeva che lui incarnasse l'anima, Mus– solini fece annunciare dal suo Consiglio dei mm1stri che le "forze dell'antifascismo straniero si erano coagulate a Ginevra intorno alla que– stione italo-etiopica" ( 14 settembre). Il Duce dimenticava i suoi insolenti e sanguinari discorsi dei mesi precedenti, e la sua tanto strombazzata opi– nione sulla Società delle Nazioni. Il Direttore generale del Servizio del– la Stampa straniera al Ministero degli esteri fece osservare nel 1935 che la stàmpa italiana, durante il 1934, aveva attaccato, vilipeso e deriso (cioè aveva ricevuto istruzioni di attaccare, vilipendere e deridere) non meno di 34 paesi,. incluso il Guatemala.2 Con questi precedenti il Duce si meravi– gliava che le forze dell'antifascismo straniero di fossero coagulate a Gine– vra!3 A Parigi furono tenute quattro grandi riunioni per discutere la poli– tica di Laval e sostenere la sicurezza collettiva (3 settembre). Il Consi– glio Generale delle Trade Unions britanniche, l'Esecutivo nazionale del par– tito laburista e l'Esecutivo del gruppo laburista parlamentare mandarono il seguente messaggio a una di quelle riunioni. 2 GRAzzr, Il principio della fine, p. 13. 3 VILLARI, Storia diplomatica, p. 152, seguendo le orme del suo Duce, afferma che nel settembre 1935 a Ginevra "il fronte anti-italiano fu ispirato da un preconcetto antifascista" e aggiunge che questo preconcetto fu "anche incoraggiato dagli antifascisti italiani, i quali mi– ravano a isolare l'Italia e ad acuire il conflitto italo-britannico." Come potevano gli antifascisti italiani - poveri diavoli che non godevano in alcun modo la fiducia degli ambienti governativi - influenzare i delegati di oltre cinquanta potenze a Ginevra? Dietro alla universale ostilità suscitata dalla brutalità di Mussolini, Villari scorge anche, con perfetto stile nazi-fascista, la ma– no di "quei finanzieri internazionali" che vedevano "nel sistema economico e finanziario del– l'Italia e della Germania una minaccia al loro strangolamento della vita economica mondiale" (p. 13). Al tempo stesso egli afferma che "la City si opponeva alle sanzioni per ragioni com– merciali" (p. 175) e "i banchieri britannici temevano che le sanzioni provocassero rappresaglie le quali avrebbero potuto avere effetti dannosi per le loro succursali in Italia" (p. 177). Nel– l'ottobre 1935, "la stampa finanziaria era ostile all'Italia, in gran parte in conseguenza dell'influen– za di Sir Walter Layton, editore dell'Economist, fanatico sostenitore della Società delle Na– zioni, il quale aveva trasformato quel giornale da un serio organo economico in un foglio di propaganda partigiana" (p. 173). A parte il giudizio infantile sull'Economist, resta il fatto che la stampa finanziaria britannica nel settembre 1935 non era stata ancora convertita dagli antifascisti italiani. Quanto ai banchieri di Francia, Villari c'informa che gl'istituti favorevoli all'Italia erano il Credit Lyonnais, la Banque de l'Union Parisienne e la Banque pour le Com– merce et l'Industrie; d'altra parte, La Societé Générale e il Comptoir National d'Escompte man– tenevano un atteggiamento "rigido ma non ostile," mentre la Banque de Paris et de Pays Bas era l'unica che fosse "quasi ostile." Quanto ai "banchieri internazionali" che operavano a New York, essi lanciarono sul mercato americano prestiti per oltre trecento milioni di dol– lari prima che la depressione del 1929 e il mancato pagamento dei debiti di guerra da parte dell'Italia rendessero impossibile di lanciare altri prestiti all'Italia. 448 BiblotecaGino Bianco

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