Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Preludio alla seconda guerra mondiale sta la miglior occasione che le si offrisse per denunciare l'Abissinia e affer– mare il suo bisogno di espansione. Nessuno avrebbe negato questo bisogno che poteva essere soddisfatto soltanto nel quadro della Società. Disgraziatamente il Consiglio della Società, prima di prendere una de– cisione, doveva aprire un'inchiesta, e questa non poteva essere decentemen– te portata a termine da un giorno all'altro. Per quanto il Consiglio affret– tasse i tempi, Mussolini, in base al Patto, sarebbe stato autorizzato ad ini– ziare la sua guerra "legalizzata" o "coloniale" soltanto tre mesi dopo che il Consiglio avesse pubblicato le sue conclusioni. Egli non aveva avuto fret– ta nei primi otto mesi del 1935. Ma ora cominciava ad essere incalzato dal tempo. La stagione delle piogge stava per finire in settembre. Un'atte– sa di tre mesi in quel momento sarebbe stata troppo lunga. I suoi amici nel Consiglio non dovevano mettergli i bastoni nelle ruote solo per fedeltà ai "princi p1" della Società. Se Mussolini aveva fretta, Hailé Selassié non era disposto a suicidarsi per evitare di essere assassinato. Rifiutò qualsiasi forma di protettorato o mandato italiano, comunque camuffato. Il contegno del colonnello Clifford nel dicembre 1934 può averlo indotto a credere di poter contare sulla pro– tezione britannica. Riteneva il ministro britannico ad Addis Abeba, Sir Sid– ney Baston, come uno dei suoi migliori amici. Si può quindi supporre che costui fosse uno di quegli "esperti" che lo consigliavano a "resistere" alle domande di Mussolini. Sir Sidney molto probabilmente sperava che Mussolini, messo di fronte alla resistenza di Hailé Selassié, alle prote– ste dei liberali e laburisti britannici, all'opposizione della Società delle N a– zioni, al chiasso di tutto il n1ondo e alle difficoltà di una campagna mi– litare, avrebbe dato il consenso al compromesso. Allora il Governo britan– nico avrebbe dato a Mussolini il "cordiale" appoggio promessogli nell'ac– cordo del dicembre 1925. Ma in Inghilterra l'irritazione era andata crescendo ad ogni discorso bellicoso del Duce. C'era, oltre al senso di ·giustizia, brutalmente oltrag– giato da quella selvaggia spavalderia, la reazione dell'orgoglio britannico nazionale offeso da chi aveva osato respingere le proposte di Eden, la cer– tezza d'imporre a buon mercato la propria volontà ad un avversario rumo– roso ma debole, l'inquietudine per quanto poteva succedere alle colonie britanniche in Africa Orientale se una Potenza europea che non era la Gran Bretagna conquistava l'Etiopia e vi reclutava tra gl'indigeni un gran– de esercito capace di vivere sulle risorse locali, e la preoccupazione per le possibili ripercussioni di una guerra italo-etiopica tra i popoli di colo– re nell'Impero britannico. Pacifismo e imperialismo, generosità e meschinità, idealismo ed egoi– smo, tutti questi sentimenti si mescolavano confusamente nell'animo del– la gente. E quel baccano di proteste sembra avere persuaso Hailé Selassié che la Società delle Nazioni non sarebbe venuta meno al dovere di proteg– gere l'Etiopia non solo a parole ma anche a fatti. 410 Biblot ___ Gino Bianco

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