Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

Esce dalla scena Barthou entra Lavai na.) Inoltre Mussolini ebbe a dire quanto segue relativamente alla J ugosla– via: "Noi che ci sentiamo forti e siamo forti, possiamo offrire ancora una volta un'intesa per la quale esistono precise condizioni." Per gli uomini di Belgrado quelle condizioni esistevano. La Jadramska Straza (la Guardia Adriatica), organo della Lega Navale Jugoslava, dichia– rò che l'Adriatico non doveva essere un mare chiuso sotto l'esclusiva influen– za dell'Italia, ma essere aperto al traffico di tutte le nazioni che dovevano ave– re uguali diritti; il Governo italiano non doveva piu incoraggiare alcuna campagna per la rivendicazione della Dalmazia, né alcuna propaganda con– tro l'integrità nazionale della Jugoslavia; doveva cessare di appoggiare moti terroristici; agli jugoslavi abitanti in territori annessi all'Italia doveva essere garantito equo trattamento. . Sarebbe riuscito Barthou a conciliare fuoco e acqua? Proprio il giorno del discorso di Mussolini, Re Alessandro di Jugoslavia parti per una visita ufficiale in Francia. Certamente avrebbe discusso il pro– blema dei rapporti italo-jugoslavi. Subito dopo il suo sbarco a Marsiglia fu assassinato. Barthou ped con lui. Gli autori del "colpo" furono fascisti croati, seguaci di Ante Pavelic e addestrati in Italia e in Ungheria. Adoperarono armi di recentissima fabbri– cazione comperate da un armaiolo di Trieste. 9 Nessun armaiolo in Italia ·avrebbe venduto tali armi senza il permesso delle autorità politiche. Paul-Boncour, che come avvocato della parte civile per la vedova del so– vrano conobbe i documenti del processo, afferma che " i veri criminali, cioè gli istigatori e organizzatori dell'assassinio" stavano in Italia. Qui era la fonte delle loro armi. Ricevevano il denaro a Lugano, presso la fron– tiera italiana. In Italia Ante Pavelic e Kvaternik, che senza dubbio avevano avuto parte nel delitto, cercarono rifugio. Io vidi fotografie dei campi dove i terroristi Ustasci si esercitavano a tirare contro bersagli che rappresentavano Re Alessandro, e debbo ag– giungere che le montagne nello sfondo di quelle fotografie non davano affatto le linee delle grandi pianure ungheresi, nelle quali il Consiglio della Società delle Nazioni per risparmiare l'Italia pretese di situare la preparazione del delitto (Souvenirs, III, 22-IV). A Roma chi conosceva i retroscena fece risalire la responsabilità del "colpo" al capo della polizia Bocchini e ad un alto funzionario del Mini– stero degli esteri, Anfuso, che era un fido consigliere di Ciano. 10 9 Il processo Roatta, p. 46. 10 Il processo Roatta, p. 55. SETON-WATSON, Europe and the Austrian Problem, pp. 235- 36: "Il campo di Janka Pustza in Ungheria, di cui tanto si è udito parlare un unno fa a Gi– nevra, e di cui si udrà parlare di nuovo al processo per l'assassinio di Aix, era uno dei tanti campi analoghi. La struttura centrale del movimento terrorista croato era in Italia. Pavelic sog– giornava a Pesaro, Milano, Torino; incontrava i suoi agenti a Zara, Trieste, Lugano, Lucerna; aveva un piccolo campo di addestramento a Bavegno presso Brescia e un altro a Borgotaro ne– gli Appennini. Naturalmente io non intendo neppure per un momento insinuare che il Duce o i capi della propaganda italiana abbiano diretto i particolari di ciò che accadde. Ma non ci può essere dubbio che erano a conoscenza dell'attività in cui Pavelic e la sua banda erano im– pegnati; che la lunga serie di delitti ed esplosioni dal 1929 in poi serviva di costante me– mento; che i ribelli ustasci erano forniti di armi dall'Italia; che alcune delle carabine di Hirten– berg erano destinate ad essi; che la maggior parte degli esplosivi e delle armi provenivano da ditte italiane (come la pistola automatica molto inconsueta con cui fu commesso il delitto di 323 BiblotecaGino Bianco

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