Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

"Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 come del pane; anche quando il Governo austriaco vorrà seguire una politica di giustizia e di pace verso gl'italiani destinati a vivere nei suoi confini, l'irredentismo non sarà spento del tutto mai; perché nei cuori dei migliori intellettuali di quei luoghi, sia che passino in Italia, sia che restino a casa, qualcosa sempre griderà contro un regime politico che divide dolorosamente ciò che non dovrebbe essere separato. Di questo stato d'animo della borghesia intellettuale triestina e istriana si rendono perfettamente conto gli uomini d'affari, che formano il nucleo centrale del partito nazionalista italiano. Essi non possono respingere da sé questo ceto, il cui aiuto riesce ad essi prezioso contro il movimento proletario. Perciò, nelle ore libere, quando la cassaforte è al sicuro, rappresentano anch'essi, a soddisfazione della platea, la parte di irredentisti. Ma, quando vanno alla Camera di commercio o quando lavorano ad allinear cifre sui registri di transito e sui libri mastri, allora ritornano a fare l'occhiolino dolce all'Austria, e trescano col Governo di Vienna come fanno da noi gli armatori liguri e i latifondisti meridionali; ma non amano che si dica e mordono talvolta la mano austriaca, subito dopo averla baciata. A parte, del resto, la situazione etnica e sociale e politica dei paesi del Litorale, a parte il fatto, evidente a chi esamini senza preconcetti il vero stato delle cose, che il separatismo irredentista non è in quei paesi sinceramente voluto se non da un'infima minoranza della popolazione; anche ammesso che tutti i triestini e istriani fossero di lingua e di sentimenti italiani e anelassero tutti senza distinzione ad unirsi politicamente con l'Italia; bisognerebbe che gli irredentisti nostrani studiassero un po' se è attuabile il programma da essi sognato finché duri l'attuale sistema delle forze e dei rapporti internazionali. Bisognerebbe che gli irredentisti riescissero ad eliminare il pericolo che Trieste, nell'ipotesi di uno sfasciamento austriaco, passasse non all'Italia ma alla Germania, con estrema rovina degli interessi italiani. Se Guglielmo II avesse bisogno di creare in Italia un partito, che facesse magnificamente fra noi gl'interessi tedeschi, prenderebbe come base di operazioni i gruppi irredentistico-massonici, che fanno capo alla Ragione, al Secolo, alla Vita. Perché l'irredentismo mette l'Italia non solo contro l'Austria, ma anche contro l'Inghilterra, contro la Francia, contro la Russia, che inseguono tenacemente nella loro politica lo scopo di consolidare l'Austria contro il pangermanismo e farne una barriera contro le ambizioni adriatiche della Germania. E, mentre ci isola dalla Triplice antitedesca, spinge l'Austria, minacciata da noi, verso la Germania, lasciandoci esposti senza difesa ai ricatti della Germania. Se dalla presente crisi internazionale l'Italia uscirà vinta e umiliata, perché abbandonata a sé dalla Triplice antitedesca e pestata sotto i piedi dalla Germania e dall'Austria, noi dovremo esserne grati, non solo all'on. Tittoni, triplicista ad ogni patto, ma anche all'irredentismo dell'on. Fortis e dell'on. Barzilai. E il male, che avrà fatto all'Italia l'on. Tittoni col discorso di Carate, sarà un nulla-di fronte alla rovina che ci avranno procurato 68 BibliotecaGino Bianco

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