Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

" Come siamo andati in Libia " e altri scritti dal 1900 al 1915 di Torino scherza coll'agitazione. ancora inoffensiva, e garbatamente la prega a parlare d'indipendenza e niente affatto di libertà. È agevole intenderla: l'indipendenza è la conquista della Lombardia. L'idea dell'indipendenza anticipata svia i liberali piemontesi: affezionati al loro re, lo rappresentano qual futuro liberatore militare dell'Italia; vogliono conquistare l'indipendenza italiana, per poscia terminare la questione interna siccome una querela domestica. Sventuratamente il tempo incalza, i liberali non pongonsi in condizione di combattere; non sono padroni della loro indipendenza personale; come mai potrebbero conquistare l'indipendenza d'una nazione? Conquistino adunque la propria loro libertà, e cancellino le secolari vergogne del Piemonte! Si ostinano i liberali nel cercare una vana indipendenza differendo la libertà? Falliranno l'una e l'altra. . E spiegava che la sola tattica utile alla democrazia era quella di provocare delle rivoluzioni nei singoli stati italiani; cosi si dava un terribile esempio di sovversione ai lombardo-veneti, e l'Austria avrebbe dovuto o fare anch'essa delle concessioni o capitolare innanzi a un'insurrezione popolare. Ma le parole di Ferrari furono buttate al vento. I democratici, messisi una volta fuori strada, non capivano piu nulla; essi non sapevano che gridare: morte agli austriaci, fuori i barbari; e dimenticavano che i barbari non stavano solo nelle provincie soggette all'Austria, ma anche nella Corte, nei tribunali, nei reggimenti, negli uffizi di polizia di Carlo Alberto. Scoppia a un tratto l'insurrezione delle Cinque Giornate. Le strade di Torino si riempiono di popolo che domanda al Governo che accorra in aiuto dei milanesi; il Governo scioglie le dimostrazioni, impedisce ai giovani di correre in aiuto di Milano, assiste alla insurrezione sperando che venga repressa. Il popolo di Torino si raduna all'armeria e cerca di fornirsi d'armi; è la rivoluzione pronta a scoppiare; Brofferio e Sineo, democratici, vengono a calmare la folla e ad assicurarla che il Governo farà la guerra. Nello stesso tempo Carlo Alberto faceva assicurare l'ambasciatore austriaco della sua amicizia; la posizione di Milano appariva disperata e "la Corte assolutista ricadeva atterrita nell'alleanza austriaca." Il 23 marzo arrivava la notizia della liberazione di Milano; bisogna "accarezzare la rivoluzione se questa non fallisce che per metà." Carlo Alberto si dichiara pronto a fare la guerra all'Austria per liberare la Lombardia: i democratici vanno in visibilio, applaudono pazzamente; Mazzini si dichiara pronto a tutto sacrificare per l'indipendenza, invita gli amici a dimenticare le questioni interne per raccogliere tutti gli sforzi contro l'Austria. E intanto, il 23 marzo stesso, Carlo Alberto dichiarava al rappresentante inglese e all'austriaco che egli prendeva le armi solo per impedire il sorgere della repubblica in Lombardia e in Piemonte. Lo scopo per la Lombardia fu ottenuto. Carlo Alberto si baloccò per quattro mesi sul Mincio, si lasciò sconfiggere a Custoza, consegnò Miiano agli austriaci e ritornò dond'era venuto, dietro il Ticino. Il pericolo di una repubblica in Lombardia era evitato. Restava tuttora il pericolo in Piemonte. La guerra del 1848 era stata fatta sotto la responsabilità del Ministero conservatore_;perciò, dopo Custoza, 6 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==