Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

Prefazione veva al Ghisleri: "Sono cosf irritato, imbestialito, esasperato: ho il cuore cosf pieno di odio e di sete di vendetta che il solo pensare a certe persone mi fa perdere la padronanza di me stesso." 10 E subito egli si mette alla ricerca delle origini storiche della reazione, e ne nascerà il primo lavoro di storia contemporanea, I partiti politici milanesi nel sec. XIX. Tutto questo ci spiega come l'interesse di Salvemini dovesse comprendere anche la politica estera, per quanto allora, a dif}erenza di quello che avviene oggi, fosse un argomento trascurato tanto dagli storici quanto dai politici. E per diverse ragioni. Anzitutto per il segreto diplomatico che circondava le trattative fra i governi e, in secondo luogo, perché il socialismo, col suo internazionalismo, non riteneva degne di attenzione le relazz·oni fra a vari stati: erano questioni che interessavano i regimi borghesi. Quindi fra i socialisti chi si interessò alla politica estera furono solo Bissolati e Salvemini. Anch'essi avevano a che fare con le difficoltà ricordate e potevano disporre soltanto di quello che pubblicavano i giornali, ma Salvemini aveva la dote particolare, diremo il fiuto naturale, di saper distinguere fra le svariate notizie, piu o meno veritiere, quella interessante e genuina, la frase signz"ficativae rivelatrice, e sapeva poi coordinare con la sua immaginazione i frammenti separati e comporli in un insieme organico. Ma sopra tutto sapeva distinguere le linee fondamentali di una politica, quelle linee che talvolta non troviamo nei documenti diplomatici, ma che non sfuggono a chi sa leggere neg;:iavvenimenti umani. Naturalmente, trattandosi di un lavoro di ricostruzione su pochi elementi, spesso gli sfuggivano e gli apparivano deformati o addirittura errati molti particolari. Tuttavia nelle questioni di politica estera portò lo stesso rigoroso metodo storico che aveva appreso all'Università di Firenze, e cioè scrupolosa esattezza, chiarezza e semplicità, amore per il vero, senza riguardi per nessuno, senza badare se quello che af}ermava avrebbe giovato o no alla sua tesi, "repugnanza per le astrazioni e rispetto per la realtà concreta, anche se diOorme da preconcetti ed aspettazioni sicure." 11 E, seguendo il metodo storico, su ogni questione che si accingeva a trattare anzitutto raccoglieva tutti gli elementi a disposizione, si informava prerso amici o c,onoscenti, voleva, insomma, essere esatto. Le polemiche sulle falsificazioni relative alla Libia ne sono un esempio eloquente; e un altro esempio troviamo anche in questa raccolta a proposito del problema dell'Alto Adige. Prima di scrivere l'articolo in proposito, che comparve su L'Unità del 15 gennaio 1915, egli si rivolse all'amico e vecchio compagno di studi di Firenze, Ernesto Battisti, che negli studi trentini era ormai un'autorità, con la lettera che viene pubblicata in appendice all'articolo stesso. Cosicché "anche Salvemini," come ha scritto Ernesto Rossi, "prendeva delle cantonate, ma nelle 10 Ibidem, p. 347. 11 G. SALVEMINI, Scritti sulla questione meridionale 1896-1955, Torino, Einaudi, 1955, p. XIV, e ora in questa collana: Movimento socialista e questione meridionale, a cura di G. Arfé, p. 669. XI BibriotecaGino Bianco

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