Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

"Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 saria. Per spingere il paese alla conquista, bisognava ingannarlq." Non discutiamo questa pseudo-machiavellica teoria, che ha fatto già altre volte in Italia le sue prove rovinose, e secondo la quale il paese è un fanciullone deficiente, che deve essere sistematicamente ingannato a fin di bene da pochi superuomini, e la politica estera ed interna dev'essere fatta tutta a furia di bugie, e le notizie guerresche devono essere sempre condite di esagerazioni e di bugie; salvo a dare a questo paese del "vile" quando qualche evento non lieto gli apre gli occhi, e lui si avvede di essere stato ingannato, e allora passa da un eccesso all'altro, e si rifiuta di procedere piu oltre per una via in cui non ha trovato fino allora che mistificazioni e sacrifizi inaspettati. E non discutiamo neanche le altre ragioni politiche che hanno resa la guerra necessaria: non discutiamole, se non altro perché le ignoriamo. Oramai è acqua pass~ta. Prendiamo pure le cose come sono, e come oramai nessuno può piu fare a rpeno che non sieno avvenute. E facciamo di fronte ad esse il nostro dovere. Ma perché le mistificazioni sulle ricchezze tripoline continuano, anche dopo che la guerra è "lanciata"? Alla fine del novembre questa campagna aveva già prodotto che ventunmila passaporti erano stati chiesti, specie da contadini meridionali per andare a trovar lavoro in Tripolitania. Si sentono qua e là notizie di società per azioni, che si preparano a sfruttare le ricchezze favolose del paese. Se si formasse oggi una società, che emettesse un milione di azioni di 25 lire· l'una, promettendo che a ciascuna azione corrisponderà un pezzettino di terra, i contadini meridionali si precipiterebbero con furore su di esse investendovi tutti i loro risparmi "americani"; le azioni salirebbero in un mese a 100 lire; i promotori della società guadagnerebbero i milioni a cappellate; e fra qualche anno i contadini ingenui si troverebbero con molta carta straccia nelle mani, derubati e burlati. E già i grossi pescicani della finanza parlano di un prestito di mezzo miliardo, di un miliardo, per costruire laggiu ferrovie, porti, strade, ecc. ecc., sempre, beninteso, allo scopo di arricchire, non i sullodati pescicani, ma l'Italia . . Ora, questo non è piu un affare di politica internazionale, nel quale sono impegnate le nostre armi e di fronte a cui, allo stato attuale delle cose, tutti abbiamo il dovere di far credito della nostra fiducia al Governo, augurandoci in cuor nostro di non collocare troppo male il deposito. Qui si tratta oramai di un puro e semplice quesito di politica interna. Il quale si può formulare cosi: "Conquistata la Tripolitania, quale programma di lavoro e di organizzazione dobbiamo proporci per essa, allo scopo di non danneggiare inutilmente la madre patria?" Chi su questo terreno inganna da ora in poi il paese, continuando a novellare di ricchezze presenti ed antiche non è consigliato da "alte ragioni politiche." Queste, oramai, sono esaurite. E le mistificazioni, che continuano, non possono essere interpretate piu che come servizi resi al grosso parassitismo bancario-tripolino. 140 Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==