Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

L'enciclica "Graves de communi" manere fedeli al loro programma senza ribellarsi al papa, cioè fe~ero le viste di non capire che questi li aveva condannati. L'enciclica Graves de communi - essi dicevano - non poteva aver condannato il movimento creato dall'enciclica Rerum novarum; il papa non aveva vietato l'uso della parola "democrazia cristiana," dunque non aveva condannato la cosa. Accettarono s1 lo scioglimento del loro partito, ma tre mesi dopo la pubblicazione dell'enciclica cominciarono a pubblicare Il domani d'Italia: il papa non aveva vietato nessun periodico vecchio o nuovo I Il movimento si diffondeva con rapidità superiore ad ogni speranza, ··grazie all'indipendenza dai vescovi che i giovani affettavano. Il settimanale arrivò a 14 mila copie. Le sezioni democratico-cristiane ammontarono in tutta Italia a 300. Intorno a queste sorgevano leghe di resistenza, coopera– tive, circoli di studio. "Nessuna speranza - scriveva il leader del movi– mento - sarebbe parsa mai troppo audace a quei giovani pieni di fede e di entusiasmo, se avessero ·potuto strappare al pontefice il consenso defi– niti vo.1118 Il guaio era che Leone XIII non intendeva lasciarsi strappar niente, e il cardinale Rampolla era non meno esigente del papa sulla questione romana, che i democratici cristiani accantonavano con troppa disinvoltura. Il 21 ottobre 1901, Rampolla, per ordi~e del papa, i~viò all'arcivescovo di Milano una lettera, nella quale deplorava che "da qualche tempo si ripe– te[ sse], in alcune regioni d'Italia, un fatto che ben a ragione aveva destato la vigilante attenzione del Santo Padre": Assai frequentemente, infatti, alcuni cattolici, che pur si dichiarano devoti alla Santa Sede, [...] parlano della "Patria italiana" e anche dell'"Unità nazionale," senza alcuna riserva, o almeno senza una riserva sufficientemente esplicita dçi diritti della Santa Sede, riguardo al suo potere temporale. Al contrario, vi sono taluni che osano sostenere apertamente che è prudente mettere attualmente sotto silenzio la questione del potere temporale del Pontefice Romano, per rivendicarla in seguito, in un avvenire lontano, quando cioè il popolo sarà stato sufficientemente illuminato dalla democrazia cristiana. 19 Il papa ricordava ai cattolici italiani che era loro obbligo "non lasciar sfuggire alcuna occasione per reclamare l'indipendenza del loro augusto e ,, apo. Si deve probabilmente a. questa diserzione dalla questione romana, se i democratici cristiani, lungi dallo "strappare al Pontefice il consenso de– finitivo" al loro movimento, gli strapparono solamente una definitiva con– danna. Il 27 gennaio 1902 la sacra congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari pubblicò uno "Statuto dell'Opera dei congressi," nel quale era espressamente vietato ai democratici cristiani italiani di "partecipare ~ 1s Cfr. Stato e Chiesa in Italia da PiQ IX. ~ :PiQ XI, t>· 14}. (N.d.C,l t 9 !llid., \>· 144. (N.d.C.l B blioteca Gino Bianco 359.

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