Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Le dimissioni di don Sturzo del partito; se questo non faceva, il Vaticano "si metteva in una situazione di disagio." Prevedendo una nuova tempesta· di bastonate, il presidente dell'Azione cattolica ritornò eroicamente a spiegare, per la millesima volta, che i fasci– sti cadevano in un grande equivoco, quando confondevano l'Azione catto– lica col partito popolare, e quando bastonavano i soci dell'una come se fossero soci dell'altra. Per evitare che quest'equivoco non sorgesse almeno quando si trattava di processioni religiose, egli conchiuse, il 15 maggio 19.23, col segretario del partito fascista della provincia di Milano, qual- . cosa come un trattato internazionale, nel quale le due alte parti contraenti fissavano le condizioni, a cui dovevano conformarsi le società cattoliche quando volevano intervenire coi loro vessilli nelle processioni. Pochi giorni prima, il 10 maggio, l'Osservatore romano aveva procla– mato altamente che la sola autorità religiosa è competente a giudicare su ciò che è compatibile e tollerabile nelle processioni: se quell'autorità am– mette determinate bandiere e insegne, chi proibisce quell'intervento viola "la legittima giurisdizione del potere religioso." Siccome il segretario del partito fascista nella provincia di Milano non era un'autorità religiosa, ne conseguiva che il trattato di Milano violava le leggi della "società perfetta." Ma l'Osservatore romano finse di credere che-i firmatari del trattato di Mi– lano avessero voluto "accertare, assicurare e difendere" il diritto delle auto– rità ecclesiastiche ad ammettere nelle processioni "ogni ~ssociazione, cui la Chiesa consente il nome di cattolica"; si immaginò che il trattato di Milano avesse consacrato il principio "che a niuno è lecito sollevare dubbi e oppo– sizioni" contro "associazioni e vessilli che furono invitati e ammessi alla processione od al corteo cattolico dall'Autorità ecclesiastica e dai dirigenti dell'Azione nostra"; e concluse che il trattato era "degno di considerazione e di imitazione dovunque. 113 Chi si contenta gode. I nodi vennero al pettine quando Mussolini annunziò che intendeva presentare al Parlamento un progetto di riforma elettorale. Secondo il si– stema vigente nel 1923, il paese era diviso in circa cinquanta circosqizioni, ognuna delle quali eleggeva in media dieci deputati; in ogni circoscrizione, ciascun partito otteneva un numero di seggi proporzionato al numero dei voti raccolti dalla propria lista. Secondo il progetto di legge preparato dal governo, la divisione del paese in circa cinquanta circoscrizioni elettorali era conservata; ma i voti ottenuti da ciascun partito in tutte le circoscrizioni erano sommati in un "totale nazionale"; il partito che avesse ottenuto il piu alto totale nazionale, avrebbe conquistato i due terzi dei seggi in tutte le circoscrizioni, anche se in alcune di esse non avesse raggiunto la mag– gioranza dei votanti; gli altri partiti, anche se complessivamente avessero ottenuto la maggioranza in tutto il paese, non avrebbero cohquistato che i seggi rimanenti, cioè un terzo del totale; quest'avanzo essi se lo sarebbero diviso in ciascuna circoscrizione in proporzione dei voti ottenuti da ognuno 3 "L'osservatore romano," 21-22 maggio 1923. 289 22 B eca Gino Bianco

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