Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Il congresso di Torino il marchese Cornaggia e i suoi associati, scordandosi che già nell'anno pre– cedente era nata a Milano con lo stesso fine una "Unione costituzionale," annunziarono di fondare una "Unione nazionale": essi la offrivano come porto di rifugio a tutti coloro che avessero abbandonato il partito popolare dopo la imminente scissione.6 Il congresso del partito popolare fu una vera eruzione vulcanica antifascista. I deputati profascisti dovettero contarsi pubblicamente, e si trovarono a non essere piu di 7 su 107. Riuscirono a stento a farsi ascol- -: .tare. "Meglio morire liberi che vivere schiavi," affermò uno degli oratori democratici, l'avv. Ferrari, fra le acclamazioni generali. Don Sturzo si trovava di fronte ad un gruppo parlamentare che nella immensa maggioranza "non voleva marciare," o per sentimenti profascisti o per paura. D'altra parte, la massa del partito era fieramente antifascista; ed in fondo don Sturzo era d'accordo con la massa. Il problema, che a lui spettava di risolvere, era questo: incitare alla lotta il gruppo parlamentare e moderare la massa in modo che non andasse troppo al di là dei deputati. Per risolvere il problema, egli mobilitò tutti i suoi fedeli perché formassero nel congresso un centro, il quale prendesse una posizione sufficientemente avanzata da non gettare i democratici fuori del partito, e sufficientemente moderata da consentire ai parlamentari di accettarla. Il congresso autorizzò i deputati del partito a rimanere nel gabinetto Mussolini, ·ma nello stesso tempo affermò che "anche dopo gli ultimi avve– nimenti politici" il partito rivendicava il diritto di vivere come organismo autonomo; perciò intendeva "difendere energicamente" la rappresentanza proporzionale contro i tentativi diretti ad abolirla o a falsarla; esprimeva la propria "solidarietà con coloro che sapevano soffrire nel sacrificio per l'idea o per la pacificazione interna," e dichiarava che intendeva di continuare nella sua "battaglia per la libertà contro ogni pervertimento accentratore tentato in nome dello Stato panteista o della Nazione deificata" . 7 Questa prova di compattezza impressionò il Vaticano. L'Unione degli uomini cattolici non riusciva a coagularsi; nessuno se ne interessava, nessuno vi aderiva. Il partito popolare, invece, era H solido e pronto alle difese. Esso aveva approvato l'appoggio al governo come il Vaticano desiderava. È vero che aveva rivendicato il proprio diritto di esistere come alleato, non come servo, e aveva domandato che cessasse da parte dei fascisti la pratica delle violenze selvagge. Come dargli torto? Su questa base un accordo non doveva essere impossibile, per poco che Mussolini avesse consentito ad es– sere ragionevole. L'Osservatore romano, che da molti mesi si ricordava del- 1' esistenza del partito popolare solo quando doveva dire che la Santa Sede non aveva niente da vedere con esso, fu preso da un inaspettato slancio di tenerezza per quel povero trovatello del cattolicismo, che si dimostrava cos1 duro a morire: 6 "La stampa," 12-13 aprile 1923. 7 L. STURZO, Popolarismo e fascismo, cit., p. 143-91. 285 Biblioteca Gino Bianco

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