Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Dopo la marcia su Roma Il senatore Grosoli, consigliere del Banco di Roma, e il deputato Mat– tei Gentili, direttore del quotidiano romano Il corriere d'Italia, il quale fal– H nell'estate del 1929 non appena il Banco di Roma cessò di sostenerne le spese, si dichiararono per l'alleanza con Mussolini. Naturalmente non parlarono del Banco di Roma. Giustificarono il loro punto di vista, affer– mando che, se il partito popolare avesse rifiutato di collaborare col nuovo ·.governo, i fascisti avrebbero ritenuto don Sturzo responsabile per questa osti– lità; don Sturzo, come prete, ei;-asotto la disciplina delle autorità ecclesia– stiche; perciò i fascisti avrebbero fatto risalire al Vaticano la colpa della sua intransigenza; ne sarebbe risultato un furioso scatenamento di anticle– ricalismo, di cui don Sturzo avrebbe portato la responsabilità di fronte a Dio. A sostegno di Grosoli e di Mattei Gentili, parlò con grande calore anche il deputato Cavazzoni. Questi da circa un anno serviva da inter– mediario ufficioso fra Mussolini e il Banco di Roma. Gli altri presenti alla riunione, non sapevano decidersi per la collaborazione e non sape– vano consigliare l'opposizione: i piu avevano paura. Don Sturzo offri'. di dimettersi da segretario generale del partito; i convenuti nominassero una commissione straordinaria di laici con pieni po– teri: se la commissione èleliberava che i deputati non partecipassero al nuo– vo governo~ non sarebbe stato don Sturzo il responsabile della decisione e quindi sarebbe mancato ogni scatenamento anticlericale; se la commissione deliberava che i deputati collaborassero con Mussolini, avrebbe preso essa la responsabilità di tracciare la nuova politica del partito. Nessuno volle far parte della commissione. Nessuno consenti che don Sturzo si dimettesse. La riunione si sciolse senza aver deciso nulla. 2 Don Sturzo non tentò di imporre la sua volontà ai deputati, perché sapeva che la maggioranza di questi non avrebbe obbedito; e non si dimise da segre– tario perché, dimettendosi in quel momento, avrebbe lasciato il partito sen– za guida e ne avrebbe prodotto lo sfacelo. Lasciò che ognuno facesse a modo suo. Due deputati del partito, fra cui l'on. Cavazzoni, entrarono nel nuo– vo gabinetto come minis~ri, e quattro come sottosegretari. Non discusse– ro nessun programma. Non domandarono nessuna assicurazione. Accettaro– no di servire a qualunque patto. Occorrerebbe la penna di Tacito per descrivere la bassezza morale di cui dettero prova quasi tutti i politicanti italiani in quei giorni obbrobrio– si. Mussolini aveva ai suoi ordini 200.000 uomini armati, pronti ad ucci– dere, esaltati dalla vittoria. Era il padrone. Nei dieci anni passati, aveva tra– dite tutte le cause che aveva servito. Tutti facevano ressa intorno a lui, gareggiando in adulazioni abbiette, ciascuno nella speranza che sarebbero stati i propri rivali a fare le spese del tradimento prossimo. 2 Ebbi il resoconto di questa riunione, 1'8 dicembre 1922, da una persona [Giuseppe Donati: cfr. Memorie e soliloqui, in Opere, VI, Scritti sul. fascismo, vol. II, a cura di N. Valeri e A. Merola, Milano, 1966, p. 31 (N.d.C.)] che partecipò all'adunanza e vi aveva sostenuto l'opinione di don Sturzo. 267 iblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=