Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Stato e Chiesa in Italia da Pio IX a Pio Xl Come se tanti guai non bastassero, il Banco di Roma, a cui molte istituzioni cattoliche e il Vaticano avevano l'abitudine di affidare buona. parte dei loro capitali, era stato cosf male amministrato, e negli ultimi anni si era incagliato in speculazioni cos1 svantaggiose, che minacciava di fallire travolgendo tutto e tutti. Per ottenere che il governo revocasse definitivamente la legge sulla no– minatività dei titoli e salvasse dal fallimento il Banco di Roma, era necessa– rio che il partito popolare si alleasse coi gruppi nazionali conservatori. Que– sti erano disposti a pagare a qualunque prezzo, sul terreno finanziario, i ser– vigi politici e parlamentari del partito popolare. Invece era vano aspettarsi che il partito socialista consentisse a revocare la nominatività dei titoli o a ripescare il Banco di Roma dal naufragio. Il partito popolare, con la sua tattica elettorale, provocava il rancore dei partiti nazionali conservatori e si metteva nella impossibilità di colla– borare stabilmente e cordialmente con essi. Nessuna meraviglia, quindi, che il cardinal Gasparri sentisse verso don Sturzo e il suo partito una osti– lità assai simile a quella dei cattolici conservatori e dei nazionali conservatori. Quali erano i sentimenti personali di Benedetto XV? È assai difficile che Benedetto XV non fosse scontento del partito popolare, che non gli dava nessun appoggio negli sforzi che egli faceva per galvanizzare il cada– vere della questione romana. Le preoccupazioni finanziarie sollevate dalla nominatività dei titoli e dal disastro del Banco di Roma, doveva sentirle non meno del suo segretario di stato. È improbabile che questi abbia dato l'ordine di mettersi in campagna, sia alla Settimana sociale che all'Os– servatore romano, senza essersi prima consultato col papa e aver ottenuto il suo assenso. Comunque, da questo momento in poi, i cattolici conservatori poterono proclamare che essi obbedivano a "interessi supremi, religiosi e civili," ricono– sciuti dal Vaticano, e ribellarsi al partito popolare. Nelle grandi città, nelle quali da trent'anni i cattolici si alleavano nelle elezioni municipali coi nazionali conservatori, le ribellioni e le minacce di ribellione furono tante, che la Direzione del partito non osò sfidare la tempesta. Annunziò di esser disposta a concedere, in via di eccezione, il permesso di partecipare ad allean– ze "antibolsceviche" dove la necessità ne fosse evidente. A Roma resistette ad ogni pressione e volle che il partito presentasse lista propria. A Torino impose alla sezione locale di partecipare all'alleanza "antibolscevica." A Mi– lano comandò l'astensione. A Ferrara, Modena, Venezia, Padova, Brescia, chiuse gli occhi, e lasciò fare. 11 A Milano i cattolici conservatori non obbedirono all'ordine di asten– sione. Il giornale cattolico Italia, il 3 novembre 1920, invitò i cattolici a votare per la lista "antibolscevica." Un deputato iscritto al partito popolare, l'on. Nava, pubblicò una lettera affermante lo stesso principio. Il 5 novem- 11 Intervista con don Sturzo, nel "Giornale d'Italia " Roma, 3 novembre 1920; E. VERCESI, Il movimento cattolico in Italia, cit., p. 167. ' 250 BibliotecaGino Bianco

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