Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

L , . d ll Il • " agonia e a questione romana non domandò piu, come aveva fatto l'arcivescovo di Udine, una "caparra di carattere internazionale 11 per "l'equa soluzione di un sf essenziale contra– sto.~, Quella soluzione poteva "sempre avvenire per costituzionale volontà del paese, da parte dello Stato, senza che la sua civile sovranità ne fosse ·: ·compromessa. 11 E in una intervista al Corriere d'Italia (giornale cattolico) del 10 dicembre, negò che l'arcivescovo di Udine avesse proposto l'interna– zionalizzazione della "legge delle guarentigie. 11 Già. Ma non aveva pensato piuttosto all'internazionalizzazione di un'altra legge, piu favorevole al papa che non fosse quella delle guarentigie? Del resto, il marchese Crispolti ri– tornò a parlare di "un obbligò internazionale dell'Italia 11 riguardo alla condi– zione del pontefice.' E la Civiltà cattolica ritornò a parlare di libertà "inter– nazionale. 118 In una seduta della nuova Camera, il 6 dicembre 1913, un deputato socialista, Orazio Raimondo, domandò quale compenso i clericali avrebbero domandato al governo per l'appoggio elettorale da essi dato ai suoi candi– dati. Il presidente del Consiglio, Giolitti, interruppe: "Lo aspetteranno un pezzo il compenso! 119 E avendo Raimondo deplorato quei "liberali 11 che ave– vano sottoscritto segretamente il patto Gentiloni, Giolitti interruppe: "Non chiami liberali quelli che hanno firmato il Patto Gentiloni. 11 Per scoprire questa verità, aveva aspettato che le elezioni fossero trascorse da un mese. Passata la festa, gabbato lo santo. L'Osservatore romano (8 dicembre 1913) promise che "non avrebbe mancato di dire a suo tempo la sua parola per chiarire il significato e la portata dei due discorsi di Milano, 11 cioè del discorso pronunciato dal- 1' arcivescovo di Udine e di quello pronunciato dal conte Dalla Torre, che era poi il direttore dell'Osservatore romano. E il 9 dicembre 1913 scrisse, in reazione alle parole di Giolitti sul compenso: "I cattolici non vogliono compensi, perché non trafficano il bene del loro paese, ed il Presidente del Consiglio poteva risparmiarsi una frase scortese, che evidentemente non ha colto nel segno. 11 Ma il chiarimento promesso 1'8 dicembre non venne (per quanto io sappia) mai. Nel 1929 il Dalla Torre fece notare che Pio X "sempre espressamente parlò e volle si parlasse di questione romana, di prerogative della Santa , Sede, di libertà e indipendenza del Papa, senza nemmeno nominare quel potere temporale, cui accennava piu volentieri, se mai, con le parole prin– cipato civile. 111 ° Che lo chiamasse potere temporale o principato civile, Pio X domandava sempre che la questione romana fosse risolta. Questo era il punto. Ma come risolverla? Probabilmente non lo sapeva né lui né chi stava intorno a lui. La questione romana agonizzava: doveva sopravvenire Mussolini a darle una vita, che le era oramai sfuggita da ogni parte. 7 "II momento," Torino, 11 e 12 dicembre 1913. 8 Fascicolo del 30 novembre-6 dicembre 1913. 9 "Il giornale d'Italia," 7 dicembre 1913. 10 Postille: dopo gli accordi lateranensi, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1929, p. 15. 191 Biblioteca Gino Bianco

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